Ditta genovese truffata in Libia: l'ultima beffa
Del 30 settembre 2002 da Gazzetta del lunedì
Doveva essere l'incontro decisivo, il supersummit per far luce su una vicenda che si trascina ormai da due decenni e ha mandato in crisi fior di aziende, compresa la genovese Silmed, vecchia impresa di progettazione navale fallita (anche) per i "bidoni" nordafricani. E invece, al Comitato Tecnico Misto che si terrà a Tripoli dal primo al tre ottobre prossimo, predisposto dal ministero degli Esteri "per definire l'esatto ammontare dei crediti vantati da ciascuna impresa nei confronti del governo libico" è stata esclusa l'Airil (Associazione Italiana per i Rapporti Italo-libici, ovvero il sodalizio che raduna 34 delle 102 imprese "gabbate" da Gheddafi tra i quali la Silmed). Le notizie degli ultimi giorni non hanno sorpreso più di tanto Bruno De Camilis, l'ingegnere ex presidente dell'impresa genovese, che pure quei soldi vorrebbe recuperarli, trattandosi di almeno un miliardo di vecchie lire. Fuori Genova per lavoro, ieri dalla sua casa di corso Firenze ha risposto la moglie, che ha sempre seguito gli affari della Silmed e i problemi con la Libia se li ricorda bene: "Bruno - dice adesso - ha dovuto affrontare molti problemi in questi anni, ha lavorato per conto di altre aziende ma non s'è mai dimenticato della Libia, anzi. La vertenza è ancora aperta e speriamo che prima o dopo si chiuda positivamente, ma chissà". Le parole smorzate della famiglia De Camilis, che con disincanto molto genovese non si fa troppe illusioni sull'epilogo, vengono invece amplificate da Leone Massa, l'industriale presidente dell'Airil che dall'inizio dell'anno si è fatto spazio sui giornali del nord e non solo reclamando la restituzione del denaro. "Il caso di De Camilis - attacca - è solo uno dei molti che sono emersi a partire dagli anni '80, ma lo ritengo abbastanza emblematico. È chiaro che la Silmed non è fallita solo per colpa della Libia e di Gheddafi; ma chi può assicurarsi che se quei soldi fossero stati consegnati subito, le cosa non sarebbero andate meglio ?". La ferita italo-libica si è riaperta sulla pelle degli imprenditori in concomitanza della partita Juventus-Parma, la bizzarra finale disputata a Tripoli per soddisfare un groviglio di esigenze sportivo-economico-televisive. Lo stesso Leone Massa, in una velenosa intervista rilasciata poche settimane fa, si era detto particolarmente "adirato" per l'organizzazione di quel match. "Se penso - aveva precisato - che da anni rileviamo una totale assenza di tutela e garanzia dei nostri massimi organismi istituzionali, in ordine alle istanze e agli interessi legittimi e diffusi di cui sono titolari decine di imprenditori iscritti all'Airil, faccio fatica a contenere la rabbia". Resta il fatto che dal supervertice dei prossimi giorni sono stati esclusi: "E' incredibile - conclude -. I nostri crediti sono riconosciuti da enti e compagnie governative libiche, alcuni confermati persino da sentenze di tribunali arabi, derivanti da esportazioni di beni o da lavori eseguiti in Libia. Il governo di Gheddafi ha da anni bloccato il pagamento alle nostre imprese e continua sfacciatamente a sostenere che lo fa a titolo di risarcimento dei danni di guerra prodotti dal nostro paese". L'ultima stoccata è per i giornalisti…locali: "Vorremmo fortissimamente incontrarli, per tornare a sollecitare la più rapida risoluzione in nome della legalità, della giustizia e del libero mercato".