Farsa Onu, i diritti umani a Gheddafi
di Dimitri BuffaDel 1 ottobre 2002 da Libero
ROMA - Sarà la Libia di Gheddafi per tutto il 2003 a presiedere la Commissione dei diritti umani dell’Onu. La designazione l’hanno fatta gli stati aderenti all’Oua (l’organismo unitario africano in cui sono raggruppati) lo scorso 23 luglio e la scelta è caduta sulla rappresentante del dittatore libico all’Onu, la signora Nayat al Ayyai. E questa circostanza può spiegare anche l’iperattivismo dei Gheddafi questa estate, a cominciare dall’organizzazione della finale della supercoppa italiana nel campo di calcio in sabbia di Tripoli: tentano di darsi una ripulita. Alla Farnesina spiegano freddamente che è prassi che la presidenza di quell’organismo “vada a rotazione e quindi siccome il 2002 era toccato alla Polonia, in rappresentanza dei paesi dell’est europeo, il 2003 già si sapeva che sarebbe stato appannaggio dell’Africa”. Quello che non si sapeva è che gli africani avrebbero scelto la Libia a rappresentarli, uno Stato che dal 1980 ad oggi è riuscita a strappare quasi ogni tre anni una drammatica menzione sulle violazioni dei diritti umani persino ad Amnesty international che è tutto dire, visto che anche questo organismo preferisce di gran lunga occuparsi di presunti diritti violati in Palestina che di quelli, certissimi, di Montagnard in Vietnam. Ma ormai la frittata è fatta: “al massimo gli Usa potrebbero chiedere il voto all’assemblea in sede di ratifica della decisone dell’Oua, ma è cosa mai avvenuta prima e che comunque non porterebbe ad alcun cambiamento”, spiega Carlo Campanile, il vice del ministro plenipotenziario Guido Calvetta, delegato dalla Farnesina proprio alla commissione diritti umani. Quindi ci dobbiamo tenere Gheddafi e la sua ambasciatrice per tutto il 2003. Vale allora la pena, all’insegna del motto “medice cura te ipsum”, di ripercorrere i casi più eclatanti di violazioni dei diritti umani in Libia dal 1969 in poi. Il rapporto guida che dipinge la drammatica realtà del “bel suol d’amore” di Tripoli rimane quello di Amnesty del 1997: 36 pagine in cui vengono descritte le torture, le incarcerazioni senza processo fino a 15 anni, le esecuzioni extra giudiziali, i desaparecidos, le morti in carcere. Il nome che terrorizza qualunque libico è Abu Salim, la prigione di Tripoli in cui dal settembre ’69 in poi sono finiti migliaia di oppositori del regime, alcuni dei quali in galera ci sono morti a seguito delle torture, delle malattie e delle deprivazioni. Le famiglie spesso impiegano mesi prima di sapere dove sia finito un loro congiunto arrestato dalla polizia segreta. È il caso del povero Al Saghiev al Shaafi, ufficiale dell’esercito arrestato durante un banchetto nuziale nel 1994 e rinchiuso proprio ad Abu Salim. Nel 1997 era ancora detenuto senza processo, poi se ne sono perse le tracce. Peggio è andata al medico dentista Omran Omar al Turbi, in carcere da oltre 15 anni sempre nella prigione di Abu Salim a Tripoli. È uno di quelli che non ha usufruito né dell’amnistia del 1988 né di quella dell’agosto di quest’anno, varata in fretta e furia da Gheddafi dopo la designazione della Libia alla presidenza della commissione diritti umani dell’Onu. Ma ci sono anche i casi di Abd al Hamid al Urfia, detenuto dal 1982 senza processo o di Sahad Mohammed Salah al Jazwi, nelle patrie galere dal 1984. Rispetto alla composizione dell’umanità in carcere perché invisa la colonnello c’è da dire che non vi sono pregiudiziali politico-ideologiche: dal comunista all’islamico, dal liberale al social traditore ogni figura è ben rappresentata. Amnesty ricorda anche che la Libia dal ’70 a oggi ha sempre siglato ogni protocollo Onu contro la tortura, la pena di morte, le pene corporali e le detenzioni senza processo, salvo poi sistematicamente disattendere tutti i trattati che firma. Tanto per dirne una, per i ladri la pena prevista rimane il taglio della mano destra. Ci sono poi i due capitoli dolorosi delle esecuzioni e dei desaparecidos. Nel primo, i casi più noti sono quelli di Adel Ghayt al Warfalli, “giustiziato extragiudizialmente” a Bendasi il 15 luglio 1995 e quello Abu Bakral al Fankri, ucciso a Sabah a bordo della propria auto nell’estate del 1996. nel secondo, le storie più conosciute sono quelle di Izzat Youssef al Maqrif, membro dell’opposizione in esilio al Cairo e scomparso in loco nel marzo del 1990 e quello di Jaballah Hamed Matar, anche lui desaparecidos in Egitto nel 1994. Se poi si torna indietro agli anni ’80, gli episodi più vergognosi sono quelli che avvennero in Italia, dove tra Roma e Milano 13 dissidenti vennero uccisi con l’attiva collaborazione del Sismi di Santovito che fornì ai sicari indirizzi, foto e nomi dei malcapitati. La deposizione del colonnello Demetrio Cogliardo davanti alla ex commissione stragi, ma non un magistrato, alla faccia della obbligatorietà dell’azione penale, aprì mai uno straccio di inchiesta.