Il Colonnello non vuole pagare i debiti - Gli imprenditori gli pignorano la banca
Del 4 ottombre 2002 da Torino Cronaca
TORINO – Gheddafi proprio non vuole pagare i debiti che 102 imprese italiane reclamano per lavori effettuati in Libia negli ultimi vent’anni. E gli imprenditori passano al contrattacco. La parola d’ordine è: pignorare i beni di Gheddafi. A partire dall’Arab Banking Corporation che ha sede a Milano. Il primo colpo lo ha messo a segno l’Immobiliare Sacco, attraverso il suo liquidatore, Anna Maria Cellerino. Un sequestro per due milioni e mezzo di euro (5 miliardi di vecchie lire). La notizia arriva alla fine di un’altra giornata difficile per gli imprenditori italiani che, a diverso titolo, aspettano di incassare 680 milioni di dollari dal colonnello. Già, perché l’ultimo diniego, anche se pronunciato con le parole soft della burocrazia è arrivato al termine degli incontri che si sono tenuti a Tripoli proprio mercoledì e ieri. E che si sono conclusi con la decisione di valutare (entro il 30 novembre) i crediti vantati dalle imprese italiane per poi lasciare ai governi italiano e libico il difficile compito di trovare una transazione. In soldini, un’altra perdita di tempo. Tesi che sostiene con veemenza Leone Massa, presidente dell’Airil, l’Associazione che dovrebbe rappresentare gli imprenditori gabbati ma che, paradossalmente, è stata esclusa dal Comitato misto per i crediti che si sta occupando della questione, delegando alla burocrazia statale e anche alla cosiddetta “burocrazia del petrolio” il compito di risolvere questa situazione che, se non avesse portato molte aziende al collasso, sarebbe una farsa divertente da raccontare. Il tutto accade mentre Gheddafi spadroneggia con numerosissime società sul mercato italiano e alcune associazioni di industriali (tra cui quella di Torino) si impegnano per rassicurare i loro soci sulla solvibilità della Libia, anzi invitandoli ad investire nel Paese africano. Nella realtà l’Airil, il suo presidente Massa e i consiglieri che lo spalleggiano (Luigi Bertinetti di Torino, Giorgio Borghi di Milano, Vito Fasano di Taranto, Mario Goracci di Roma, e Icilio Sideri di Lanciano) sono rimasti isolati in questa battaglia che pare sempre più destinata ai salotti politici. Tanto che oggi, anche alla luce dell’esclusione dall’incontro di Tripoli, gli imprenditori si trovano, anche se è assurdo, a combattere su due fronti: da una parte il governo libico che ha congelato tutti i pagamenti e che non ha nessuna intenzione di ritornare sui suoi passi e dall’altro la nostra burocrazia che pare più interessata a non interferire con i potentati del petrolio per far rispettare i legittimi interessi delle imprese. Viene da chiedersi se, a questo punto, la strada dei sequestri cautelativi e dei pignoramenti non sia l’unica percorribile. Gli imprenditori che fanno capo all’Airil potrebbero insomma girare la frittata, colpendo il colonnello attraverso le imprese che controlla in Italia.