Ancora aperta la questione dei crediti degli imprenditori del nostro Paese
Del 15 ottobre 2002 da Iniziativa Meridionale
Il polveroso e desertico stadio centrale di Tripoli, capitale della Libia con oltre duemila chilometri di lungomare costruiti ex novo in piena epoca coloniale italiana, ha fatto da sfondo ad una delle ultime e più stravaganti pantomime agostane dell’estate appena trascorsa. Juventus e Parma, rispettivamente vincitrici dello scudetto e della coppa Italia, hanno deciso di affrontarsi per la finale della Supercoppa italiana in terra d’Africa, pensando bene di poter così “arricchire” la platea pallonara del luogo, ritenuta troppo a secco di calcio per poter pensare di organizzare nientemeno che i mondiali, in un futuro che speriamo molto, molto lontano. Le vie del Signore sono infinite, questo si sa, mentre quelle della vecchia Signora del calcio italiano (la Juventus) e della Fiat sarebbero quasi finite (fatto meno noto) senza i “provvidenziali” interventi di Muhammar Gheddafi, il famigerato colonnello, e di suo figlio, grande appassionato e tifoso, almeno così si dice, del calcio di casa nostra e ovviamente dell’undici bianconero. Peccato che questa inutile e comica partita di pallone sia passata completamente al di sopra dei tutt'altro che inutili e comici interessi italiani in terra di Libia. Un vero peccato, perché se qualcuno dei nostri illuminati rappresentanti politici ed imprenditoriali di quell’immenso albero della cuccagna chiamato calcio italiano ci avesse pensato, magari questa bizzarra “diplomazia del pallone” in salsa sabaudo-parmense avrebbe pure potuto sortire qualche effetto positivo. Visto i disastrosi risultati finora racimolati dalla diplomazia ufficiale. Così al posto del piagnisteo televisivo, andato in onda dietro la regia di Aldo Biscardi, si sarebbe potuta rispolverare, ad esempio, l’annosa, irrisolta e vergognosa questione dei crediti italiani rimasti intrappolati dal Colonnello e dalla rete finanziaria che da decenni si va dipanando intorno a lui. E soprattutto intorno alla Lafico, la cassaforte di famiglia e del regime arabo viatico di buoni affari che, guarda caso, trovano sempre nel Belpaese il loro primo punto di riferimento europeo e mediterraneo. Bene ha fatto Leone Massa, ingegnere titolare dell’allora “Sirman”, azienda italiana di ascensori operante per anni in Libia, adesso Presidente dell’Airil, a tuonare dalla colonne di Libero, unico giornale a curare con inchieste pungenti e sferzanti la questione degli interessi italiani in Libia di ieri, oggi e domani. Leone Massa ha promesso un incontro con la stampa estera, ritenuta giustamente più libera da condizionamenti della nostra, per lanciare ancora una volta il grido d’allarme di una folta schiera di creditori che cominciano ad averne le scatole piene degli appelli ad investire in Libia, un Paese peraltro ritenuto nel rating internazionale uno dei più a rischio in fatto di investimenti. D’altra parte quelli dell’Airil, l’associazione italiana per i rapporti italo-libici che mette insieme decine di imprenditori italiani tuttora in attesa del “rimborso” multimiliardario, sanno fin troppo bene cosa significhi mettere in gioco risorse e mezzi in terra d’Africa. Investire per anni, lavorare per far crescere un Paese che da noi qualcosa può imparare e non riguarda certo il pallone, per poi sentirsi dire che il presunto “maltolto” (il “malloppone” trattenuto in loco), stando alla ricostruzione storica del colonnello e del suo regime che ci permettiamo umilmente di poter mettere in discussione, deve essere considerato una sorta di risarcimento-danni prodotti nel periodo coloniale. In base alle ricostruzioni più accreditate la questione crediti italiani in Libia ammonta a qualcosa come mille e trecento miliardi delle vecchie lire. Roba da far tremare i polsi, numeri se non da finanziaria, almeno da manovrina correttiva. Chissà che con la prossima partita in Libia, che siamo certi la Juventus non mancherà di giocare e presto, non si decida di mandare anche qualcuno dei nostri rappresentati politici a “battere cassa”. Possibilmente non Giovanardi, che l’ultima volta che è stato visto da quelle parti ha praticamente fatto il “turista”. Trattando cose sicuramente importanti ma non quanto quelle relative alle vere questioni che andrebbero sollevate nei rapporti italo-libici.