E nella casa bombardata da Reagan ora sfilano le miss

dall' inviato Maurizio Caprara

Del 29 ottobre 2002 da Corriere della Sera

TRIPOLI - Se Ronald Reagan avesse saputo che il suo bombardamento sarebbe stato sfruttato in un secondo momento per uno show all'americana, forse ci avrebbe pensato più volte, o avrebbe ordinato di radere l'obiettivo al suolo senza lasciare pietra su pietra. Nella vecchia casa di Muhammar el Gheddafi colpita dall'aviazione statunitense nel 1986, ieri sera era schierato davanti ai fotografi uno stuolo di ragazze simili a quelle che si potrebbero incontrare in una discoteca di Los Angeles o di Chicago, un pot-pourri multietnico radunato di fronte alle lamiere di uno dei missili lanciati allora, e sotto pareti spezzate, sventrate, scheggiate dalle esplosioni. "Miss net world", miss rete mondiale si chiamava il concorso che aveva portato le 22 signorine carine, poco più che ventenni e qualcuna anche meno. C'erano una miss Italia e perfino una miss Stati Uniti, tutte selezionate via Internet da un comitato presieduto da un certo Omar Harfouch, che ha il suo ufficio a Parigi, e composto da libanesi e ucraine, benvisto dalle autorità libiche che non regalano permessi a caso. Per entrare nella caserma di Bab el Azizia, dove si trovano il rudere bombardato e la residenza attuale del Colonnello, si viene sottoposti a ripetute perquisizioni. Non si possono portare accendini. Talvolta, neanche telefonini. A Tripoli gli Internet-cafè nei quali i giovani "chattano", chiacchierano per via elettronica, sono in vorticosa espansione. Allo stesso tempo, non si possono acquistare giornali stranieri. Sono contraddizioni di una fase di cambiamento. E le immagini di ieri sera contribuiscono a dare l'idea. Si parlava di cose più che serie a pochi passi dalla mini-sfilata di ieri, preludio di una selezione finale prevista per i prossimi giorni. Cose serissime. Al di là dell'ulteriore zona riservata ai controlli, a Bab el Azizia erano a cena Silvio Berlusconi e Gheddaf. Al Cavaliere il Colonnello ha regalato un moschetto italiano del 1924. Secondo il presidente del Consiglio, lo avrebbe presentato come "il simbolo della fine dei contrasti" tra i rispettivi Paesi. Non è comunque la prima volta che il Colonnello ricorre a un dono del genere: nel '99 aveva regalato un moschetto italiano anche all'allora premier Massimo D'Alema (insieme però a una spada, una sella e un tappeto). E puntualmente, come sempre accade nei rapporti tra il leader della Rivoluzione del 1969 e il nostro Paese, l'ombra dell'era coloniale italiana ha accompagnato i colloqui. Per dar conto di quanto sia arduo chiudere davvero il contenzioso sul passato, Berlusconi è arrivato a farsi portavoce di un aspetto che Gheddafi voleva gli fosse ben chiaro: "Bisogna ricordare - ha sottolineato il presidente del Consiglio - che lui stesso è stato ferito dall'esplosione di una mina che si presume fosse di origine italiana, da piccolo. Ha avuto la morte di un cugino, di uno zio…". Sull'italianità della mina, a dire il vero, il Colonnello non ha dubbi. Scoppiò nel 1948, quando Muhammar era un bambino di 6 anni o giù di lì. L'incertezza deriva dal fatto che l'anno di nascita non è certo, l'anagrafe allora era un'optional. Il futuro leader della Rivoluzione era andato a giocare nel deserto fra i relitti della guerra: parti di aerei, carcasse di carrarmati, proiettili vari. "In quell'esplosione sono morti due bimbi, miei cugini. Quel giorno mi sono salvato dalla morte per puro caso", disse il Colonnello ad Angelo Del Boca, autore del ricchissimo libro Gheddafi, una sfida dal deserto, Laterza Editore. È vero che è trascorso molto tempo dal 1948, ma è altrettanto vero che la famiglia del Leader ha motivo di ricordarsi di certi aspetti del Ventesimo secolo. Il nonno di Muhammar, Abdusalam Hamid Abominiar, era stato ucciso nel 1911 da un colpo partito da una nave italiana nella battaglia di Merghb. Un suo fratello, nel 1928, è stato fatto prigioniero da Rodolfo Graziani e impiccato nell'oasi di al-Giofra. Perdite che anni fa hanno indotto il Colonnello a dichiarare: "I miei genitori piangevano quando ricordavano gli anni dell'occupazione italiana. Io non ho vissuto quell'epoca, però ho visto le conseguenze della guerra…io stesso sono rimasto colpito da una mina italiana, qui sul braccio destro". Le ferite del passato non erano svanite quando ieri il Colonnello ha ricevuto il suo ospite nella tenda di Bab el Azizia, prima di continuare la conversazione all'aperto. Alla fine, il governo italiano si è impegnato a dare alla Libia 60 milioni di euro per la costruzione di una strada dal Nord al Sud del Paese. la scelta deriva da un braccio di ferro: prima della visita di ieri, l'Italia offriva l'apertura di un centro medico con ramificazioni fuori Tripoli. In origine, i libici avevano chiesto la costruzione di un'autostrada. L'Italia aveva risposto che avrebbe coinvolto imprese private. Alla fine è spuntato il contributo dello Stato.

 

 

 

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