Berlusconi riapre il dialogo con Gheddafi
Disaccordo sull'entità del "gesto riparatore" per l'era coloniale. E promette di costruire un'autostrada

dall' inviato Marco Conti

Del 29 ottobre 2002 da Il Messaggero

TRIPOLI - Una trattativa dura, durissima. Combattuta da Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi a colpi di dossier sbattuti sul tavolo. Di elenchi di deportati e di debiti non ancora estinti. Un confronto tra il Cavaliere e il Colonnello durato un'intera giornata e diviso in due parti. La mattina un'ora e mezza di faccia a faccia prima nella grande tenda montata nel prato della residenza di "Bab al Azizia". E poi sotto le palme, in mezzo ai dromedari a sorseggiare latte di cammello e Coca Cola. Il secondo round a cena, sulle poltrone rosse sparse sul prato ancora bollente, mangiando agnello e datteri. Berlusconi ce la mette tutta per recuperare un rapporto nuovo dell'Italia con la Libia. Ci prova, a due anni dalla fine dell'embargo, dalla visita di Massimo D'Alema e dalla riconsegna della prima statua della Venere di Cirene. D'altra parte trattare si deve se è vero, come è vero, che dalla Libia proviene "il 25% del nostro petrolio" e, tra due anni si arriverà al 30% grazie al gasdotto in costruzione". La voglia del Colonnello Gheddafi di chiudere l'eterno contenzioso post-coloniale è però pari agli zeri che l'Italia intende scrivere sull'"assegno" con il quale si concretizzerà il più volte chiesto "gesto riparatore". Il sessantenne Colonnello è però un osso duro. "Ascoltare ascolta molto, è gentile, appassionato. D'altra parte - commenta con un pizzico di sarcasmo il nostro premier - è da trentatre anni alla guida dello Stato. E' un vero professionista. Gliel'ho anche detto: Lei è un vero professionista super, io invece sono un dilettante". Forse mai come in questa occasione Berlusconi avverte il peso di giocare fuori casa. Gheddafi non lo fa attendere due ore come accadde nel '99 all'allora premier D'Alema, ma non lo agevola di certo facendolo sedere nella buia e torrida tenda issata a due passi dalla caserma costruita negli anni Trenta dagli italiani e bombardata nell'86 da Reagan. Doppiopetto e camicia blu contro tunica color tabacco e turbante. Alla fine Berlusconi, malgrado Gheddafi gli abbia fatto venire l'idea di scrivere a fine mandato "un libro sui leader che ho incontrato", deve ammettere che sull'ammontare del "gesto riparatore" c'è ancora distanza. "Stiamo qui a discutere, a vedere, a mettere tanta cordialità sulle cifre in modo tale che le cifre passino in second'ordine e che valga invece di più il simbolo del gesto". Un centro medico-sanitario vicino a Bengasi o, "in alternativa" un'autostrada che colleghi il nord e il sud della Libia in cambio dell'impegno a "guardare al futuro", a non "considerare un passato che ci ha visto divisi". Alla fine il premier sul piatto mette tutte e due con l'impegno a spendere 60 milioni di euro per la costruzione della strada ricevendo in cambio un moschetto strappato ad un soldato italiano. "Gheddafi lo giudica un un gesto simbolico che mette fine ai contrasti tra Italia e Libia", spiega soddisfatto il premier. D'altra parte le retromarce di Gheddafi sono note e più volte ha dimostrato di non voler mettere così facilmente "una pietra sul passato" come ha fa ogni anno con la giornata di lutto nazionale per le vittime dei fascisti celebrata proprio due giorni fa. Durante il faccia a faccia Gheddafi ha mostrato a Berlusconi le ferite sul braccio dovute "ad una mina italiana". Ricorda il cugino e lo zio morti durante l'occupazione. Un passato coloniale che l'Italia ha archiviato da tempo, ma che in Libia ogni tanto genera gesti ostili come la sospensione dei contratti con le imprese italiane avvenuta la scorsa estate. Il presidente del Consiglio è però ottimista e, con accanto Paolo Bonaiuti, spiega di essere "qui proprio per rimediare a questa situazione" e magari arrivare al tanto atteso trattato di amicizia. "Stiamo cercando di incontrarci partendo da posizioni non facili" ammette il Cavaliere elencando i punti positivi di un rapporto che impegnerà i tecnici della Farnesina "per i prossimi mesi" e sul quale An vigilerà in maniera molto netta. Primo fra tutti la promessa della concessione dei visti agli italiani cacciati nel'70 e la lotta al terrorismo con l'impegno a firmare presto "una dichiarazione congiunta per non dare asilo nè aiuti alle organizzazioni terroristiche". Un tema che, dopo l'11 settembre, ha avvicinato almeno su un punto il Colonnello all'Occidente: la lotta al fondamentalismo islamico.

 

 

 

 

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