Imprese pronte alla sfida ma tanta cautela
di Serena Uccello; Vincenzo RutiglianoDel 14 settembre 2003 da Il Sole 24 Ore
MILANO - "Ora dipende dai libici saper creare un clima favorevole agli investimenti stranieri". All'indomani della cancellazione dell'embargo si cominciano a far i conti sugli effetti economici, partendo da una domanda: quali spazi si aprono per le imprese italiane ? "Il Paese - spiega Guido De Sanctis consigliere commerciale dell'Ambasciata italiana a Tripoli - è tutto da costruire a cominciare dalle infrastrutture. Tanto che nell'ultimo periodo numerosi comuni hanno indetto gare per realizzare strade e ferrovie". Un territorio per la verità non "inesplorato" dal momento che di aziende italiane la nostra ambasciata ne conta circa un'ottantina: è il caso dell'Eni ma anche di numerose imprese di costruzioni. A testimoniare l'interesse per un mercato che sembra riservare significativi spazi di manovra per le aziende. Oltre all'energia è probabile infatti che il Governo assegni il 15% delle risorse allo sviluppo dei settori "non oil", in testa le infrastrutture. Obiettivo questo prioritario - secondo solo allo sviluppo energetico - per il Governo di Gheddafi che in più occasioni ha manifestato l'ambizioso progetto di creare una massiccia rete di collegamenti autostradali. Altrettanto monumentale la realizzazione del "Grande Fiume Artificiale", un colossale progetto per trasferire verso la costa le enormi riserve di acque fossili sahariane. Un impegno per la cui realizzazione c'è una gara in corso "che ha visto - dice De Sanctis - anche la partecipazione di società italiane". Non solo strade e ferrovie, l'elenco dei settori più promettenti per il made in Italy è lungo. Il comparto delle telecomunicazioni, ad esempio, non soddisfa più le necessità del Paese tanto che nei prossimi sono previsti investimenti per estendere l'attuale copertura dall'attuale rete di 700 chilometri a 1.300. Una sfida non solo per le grandi aziende delle tlc ma anche per imprese più piccole come l'Elettronika, un'azienda barese che produce impianti per broadcasting con 70 dipendenti e 7,5 milioni di euro di fatturato ottenuti nel 2002. Il suo amministratore delegato, Raffaele Fasano, in Libia ci è andato per la prima volta due anni fa. In poche ore, fatti due conti e capita l'aria, concluse che senza "agganci" nell'apparato statale non avrebbe fatto un solo passo in avanti. "Ma a quel Paese - dice - non ho mai smesso di pensare". Ora la fine dell'embargo cambia lo scenario: "adesso vale la pena andarci - continua Fasano - le difficoltà di un tempo dovrebbero essere superate. Se il quadro internazionale rimane tranquillo in Libia ci ritorno per vendere direttamente i miei impianti di tlc o in partnership con imprenditori locali". Dopo la hi-tech potenziamento in vista anche per la meccanizzazione agricola, così da consentire un maggior sviluppo produttivo e di resa, e per il turismo: in programma interventi vicino la zona di Leptis Magna con la Valtur per la costruzione di un villaggio turistico. Un'opportunità dunque da cogliere a patto che la Libia sciolga il nodo della burocrazia e soprattutto renda più sicura la presenza imprenditoriale. Troppe incognite sulla possibilità di far rientrare in Italia i capitali ma anche eccessivi oneri amministrativi, come quello che obbliga ad assumere tra la popolazione la metà del personale richiesto, pesano ancora come un forte deterrente. Nonostante nel 1997 sia stata approvata una legge che sulla carta, istituendo una sorta di sportello unico, avrebbe dovuto facilitare l'inserimento delle aziende straniere. Tutte ragioni per le quali al momento non è ipotizzabile che le delocalizzazioni si spostino verso il Mediterraneo così come è accaduto in passato con l'est Europa. "Troppi rischi - spiega il presidente di Confindustria Veneto, Luigi Rossi Luciani - sul piano delle regole fiscali, ma anche un livello di manodopera inadeguato". Certo la caduta dell'embargo "è sicuramente un fatto politico ed economico positivo - continua Rossi Luciani - ma l'impatto sull'economia italiana sarà eccezionale. Aumenteranno le commesse per molte imprese che operano nel campo delle costruzioni, ma l'esiguità della popolazione e i bassi volumi di consumo non rendono la Libia, in questa fase, un grande mercato di sbocco". E Luigi Iperti, amministratore delegato Impianti di Techint Spa, azienda di engineering che in Libia ha due commesse e interessi per 30 milioni di euro, avverte: "I libici aprono i bandi di gara a imprese di tutto il mondo, e spesso sono i coreani a spuntarla. Quindi anche in questo caso non sarà facile per noi italiani e si porrà ancora una volta un problema di competitività da sostenere e di risposta alla concorrenza orientale". Nonostante le difficoltà una prima prova di fiducia arriva dagli imprenditori del Sud, esattamente dalla Fiera del Levante e dalla Puglia che con la Libia ha un rapporto in qualche modo collaudato: già negli anni '50 e '60 le relazioni commerciali erano attivissime. Più di recente, dopo una lunga pausa, quattro anni fa la Fiera del Levante ha concluso un accordo bilaterale per sostenere la partecipazione degli imprenditori italiani e meridionali alle rassegne specializzate in Libia, cominciando dalla più importante, quella di Tripoli. "Siamo stati la prima fiera al mondo ad andare a Tripoli negli anni scorsi - spiega Gianni Tursi, segretario generale dell'ente barese - allora c'erano solo segnali sottotraccia di un risveglio del Paese". Anche Alfonso Casale, che guida Telcom di Ostuni, nel brindisino, azienda di prodotti in polietilene è pronto per la Libia. "E' un mercato interessante - dice - noi vogliamo realizzare in Nord Africa un impianto di produzione di serbatoi in polietilene per acqua potabile: potrebbe essere proprio la Libia".