La leggenda del santo Gheddafi

di Giovanni Russo

Del 18 ottobre 2003 da L' Opinione

Il Consiglio di Sicurezza, tempo addietro, ha annullato le sanzioni che colpivano la Libia per il coinvolgimento nell'attentato Lockerbie. Sono passati quindici anni di inchieste, di scambi di accuse, di ritorsioni da quando la Libia ha ammesso la responsabilità per la strage di Lockerbie, avvenuta il 21 dicembre 1988, quando una bomba esplose a bordo del Boeing 747 della Pan Am, in volo tra Londra e New York, precipitando sulla città scozzese e provocando la morte di 259 persone a bordo e 11 a terra. Questa ricompensa per la nuova linea tenuta da Gheddafi è ancora vista con sospetto dagli americani che mantengono il proprio embargo nei confronti di Tripoli, in attesa di maggiori garanzie su terrorismo e armi di distruzione di massa. Ma uno spiraglio di apertura nelle relazioni fra Tripoli e Washington negli ultimi quindici anni comincia nel 1999, quando la Libia acconsente alla consegna di due dei tre presunti responsabili dell'attentato, dando la possibilità all'Onu di sospendere le sanzioni sul paese africano: da quel momento, i contatti diplomatici si intensificano, in vista di un accordo per indennizzare i parenti delle vittime. L'intesa giunge quando la Libia offre 10 milioni di dollari alle famiglie coinvolte, legando però il pagamento alle fasi diplomatiche che devono veder rientrare il paese nel novero degli stati rispettabili. L'accordo prevede che il 40 per cento della somma totale sarà concesso nel momento in cui il Consiglio di Sicurezza decreterà la fine delle sanzioni (avvenuti giorni fa). Un altro 40 per cento verrà concesso quando gli Usa faranno a meno delle loro sanzioni contro Tripoli. Il restante 20 per cento sarà pagato quando il Dipartimento di Stato avrà tolto la Libia dalla lista degli "stati canaglia" sostenitori del terrorismo internazionale. I risarcimenti dovranno essere versati sul conto della banca per i Regolamenti Internazionali. Ma dietro l'apparente magnanimità di Gheddafi di pentirsi e di elargire corpose somme di danaro ai parenti delle vittime, si cela un inganno diplomatico. Ufficialmente a pagare è la Fondazione internazionale umanitaria Gheddafi, un ente non statale, proprio per evitare una completa resa del Colonnello alle richieste americane. In realtà, i soldi sarebbero di provenienza statale, viste le modalità del pagamento e perciò si tratterebbe di un vero e proprio furto di denaro pubblico, come sostengono gli oppositori del governo in esilio. Sistemata la vicenda Lockerbie, proprio poco prima del voto del Consiglio di Sicurezza sorge il problema del risarcimento a favore delle famiglie delle vittime di un altro attentato per mano libica, quello del volo Uta 772, esploso sul Niger, uccidendo 170 persone a maggioranza francese. Nel 1999, un tribunale francese condannava in contumacia gli imputati, sei agenti dell'intelligence di Tripoli. Il Colonnello è costretto a un indennizzo complessivo di 33 milioni di dollari, ma divisi fra tutti coloro che hanno diritto al risarcimento. Parigi si infuria dopo che Tripoli aveva invece offerto ai morti di Lockerbie, 2.7 miliardi di dollari, una cifra nettamente superiore a quella prevista per risarcire le vittime francesi. Scatta dunque, la minaccia di veto da parte dei francesi proprio alla vigilia dell'ufficializzazione della fine dell'embargo: una arma decisiva per costringere il recalcitrante governo libico a trattative frenetiche, nel tentativo di raggiungere un compromesso prima del voto Onu, finché non giunge in extremis l'intesa, che prevede il pagamento di 4 milioni di dollari a ogni famiglia. Così, si può procedere serenamente al voto in Consiglio di Sicurezza: 13 voti a favore nessuno contrario, con astensione dei rappresentanti di America e Francia, e dunque il superamento definitivo di un lungo periodo di contrasti fra Libia e comunità internazionale. Ma le famiglie delle vittime si sono opposte per le concessioni alla Libia. La loro intenzione è quella di spingere il governo nordafricano a maggiori accordi, con l'auspicio di giungere a un coinvolgimento legale anche dello stesso Gheddafi o continuare con l'embargo. Le sanzioni poste alla Libia si sono dimostrate efficaci quasi subito: la ridotta capacità estrattiva del petrolio e l'arretratezza tecnologica, oltre agli enormi problemi economici, hanno spinto il governo di Gheddafi sull'orlo del precipizio, e solo una spregiudicata manovra politica sta riuscendo a salvare un regime vicino al collasso. Una manovra politica che ha come principale obiettivo dell'intera strategia libica la normalizzazione con l'America. Ma per adesso rimane distante. Normalizzare le relazioni bilaterali con gli americani è un obiettivo che costerà ancora impegno alla Libia, in particolare la revisione della sua politica per il Medioriente. L'impressione è che la Libia ha bisogno di riavvicinarsi agli Stati Uniti, proponendo una immagine nuova, diversa rispetto al passato. Per far ciò, ha giocato la carta europea. E non è un caso se confessò a Michael Steiner, il consigliere per la politica estera del cancelliere Gerhard Schroeder, che la Libia era coinvolta nell'attentato alla discoteca "La Belle" di Berlino - frequentata per lo più di soldati americani - in cui ci furono tre morti e 200 feriti. E che aveva ammesso per la prima volta la colpevolezza per Lockerbie. Una vicenda estremamente imbarazzante per lo stesso governo Schroeder che aveva rifiutato di fare qualsiasi pressione sulla Libia per risarcimenti alle vittime. "Fino alla conclusione del processo vale il principio della presunzione di innocenza" era sempre sta la posizione ufficiale. Invece, evidentemente, il governo Schroeder aveva già la certezza del coinvolgimento di Gheddafi nell'attentato. Non solo: Berlino aveva sempre tenuto buoni rapporti con Tripoli, soprattutto per ragioni commerciali - una grossa azienda tedesca era interessata a sfruttare un vasto giacimento di petrolio nel deserto libico, il che aveva provocato le ire di Washington.Infine, lo stesso ministro degli Esteri Joschka Fischer, anche qui con disappunto americano, si recò in vista da Gheddafi. Il Colonnello, quindi, sa benissimo che diversi paesi europei hanno interesse affinché siano rimosse le sanzioni americane, per potere abbandonare quelle ambiguità finora sostenute e poter rilanciare la cooperazione mediterranea, per esempio la Partnership Euro-Mediterranea, lanciata nel 1995 e in cui la Libia è ancora riluttante a entrare a pieno titolo a causa della presenza di Israele. L'Europa è consapevole dei forti vantaggi economici in questione, e la dimostrazione sta nell'atteggiamento molto pragmatico di Londra rispetto a Washington riguardo la vicenda di Lockerbie. In parte, una ripetizione del gioco delle parti. Come a Cuba o in Iran, l'America rispetta le sanzioni, mentre alcuni fedeli alleati europei le aggirano per meri fini economici. In ogni modo rimangono delle questioni aperte nella relazione fra America e Libia che impediscono per ora a Bush di assolvere appieno il Colonnello e quindi di andare incontro alle restanti due condizioni da adempiere secondo il recente accordo. Innanzitutto, è ancora in piedi l'accusa rivolta a Tripoli sulle armi di distruzione di massa, che il governo starebbe cercando di acquistare o costruire. La Cia in un rapporto, afferma che Gheddafi sarebbe interessato alla costituzione di un arsenale chimico e, grazie alla sospensione delle sanzioni Onu, avrebbe iniziato a accumulare armi chimiche acquistando materiale e componenti da Russia e Corea del Nord. Un atteggiamento in contrasto con quello "amichevole" tenuto verso gli Usa dopo l'11 settembre, per affrancarsi dall'immagine di Stati-canaglia contro il terrorismo e i regimi che lo favoriscono. In realtà, dietro il tentativo di ripulire la facciata, si nasconderebbe un pericoloso doppio gioco e l'intenzione di dotarsi di arsenali in grado di destabilizzare aree del pianeta già calde a sufficienza. Il rapporto della Cia, insomma conferma le accuse di Sharon, lanciate due anni fa, a Tripoli: "A quanto risulta, la Libia e altri paesi hanno utilizzato i loro servizi segreti per tentare di ottenere informazioni tecniche sullo sviluppo di armi di distruzione di massa, ordigni nucleari inclusi". Altro grande scoglio è il supporto al terrorismo che, probabilmente continuerebbe a dare dietro le quinte. Il governo libico ha colto al balzo l'occasione data dall'11 settembre, collaborando con i servizi americani nelle indagini riguardanti i terroristi di al-Qaida. Nonostante tale collaborazione e l'assenza della Libia dalla lista dei "paesi canaglia" il Dipartimento di Stato continua a indicare in molti documenti di come la Libia sia sostenitrice del terrorismo internazionale e oppositrice di ogni tentativo di disarmo riguardante i presunti arsenali non convenzionali. Ed è abbastanza chiaro che l'Amministrazione Bush vede ancora Tripoli con una terribile condotta che non può essere facilmente premiata. Come se questo non bastasse, a alterare i già delicati equilibri, si è aggiunta la discussa elezione della Libia alla presidenza di turno della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite: contestata dalle associazioni per la difesa dei diritti umani - è superfluo sottolineare i record negativi libici in merito - e dagli Stati Uniti, che nulla però hanno potuto contro il voto compatto degli stati africani e arabi. Infatti, fino alla fine degli anni Ottanta la Libia si pone come l'alfiere delle istanze terzomondiste, antimperialiste e anticapitaliste, sostenendo attività rivoluzionarie e terroristiche in tutto il mondo, dall'Irlanda alle Filippine. Tuttavia, il crollo dell'Unione Sovietica e il dissolvimento del blocco dei non allineati, hanno reso ben presto la Libia una gabbia dorata, in sostanza un paese ricco di risorse naturali ma isolato diplomaticamente e economicamente. Il dissenso comincia a erompere pericolosamente per la sopravvivenza del regime, tanto da dar vita ad un dibattito in seno al governo fra riformatori, sostenitori della necessità di liberalizzare l'economia e di attrarre investimenti internazionali, e conservatori, a favore di una linea radicale di opposizione all'America e all'Occidente per cercare di guadagnare le simpatie popolari. Prevale la linea pragmatica, che il Colonnello la fa passare come sua nuova linea politica, cioè la volontà di collaborare sull'attentato di Lockerbie e nuovo zelo panafricano. Panafricano perché la Libia può giocare il ruolo del partner ricco dove la diplomazia più fluida alza la posta in gioco. Insomma un ruolo egocentrico come piace tanto al Colonnello. L'egemonia viene cercata attraverso le organizzazioni regionali, l'Unione africana, la comunità degli stati sahel-sahariani, di cui fanno parte numerosi paesi dell'Africa centrale e settentrionale.All'interno di queste due istituzioni, la Libia cerca di rilanciare il processo di integrazione regionale, affermandosi nettamente come paese leader del panafricanismo attuale, con tanto di retorica anticolonialista, che non dispiace mai a nessuno nel continente. È da sottolineare come Gheddafi punta contemporaneamente su due organizzazioni che si sovrappongono, che dimostrano palesemente la non genuina volontà di impegnarsi davvero per l'Unione d'Africa. Ma è il petrolio a farla da padrone nelle relazioni libiche verso il resto del continente: forte è l'interesse di Gheddafi per le riserve ancora "incontaminate" nel Niger, e diversi sono i progetti di oleodotti che la Libia supporta. Ma se la prospettiva di un nuovo attivismo nel continente africano diventa più allettante per il regime libico, i rapporti con la Lega araba è una relazione in crisi già dagli anni '90, quando gli stati membri rifiutarono la proposta avanzata da Tripoli di non rispettare le sanzioni imposte dall'Onu alla Libia. E negli ultimissimi anni la situazione peggiora notevolmente quando la Lega è accusata da Gheddafi di essere incapace di affrontare la questione israelo-palestinese. Ai suoi occhi, la politica di Israele è impregnata dal progetto espansionista portato avanti a discapito dei palestinesi. Con i paesi membri della Lega non vuole compromessi al ribasso, sostiene che i paesi arabi dovrebbero ufficialmente riprendere in considerazione l'opzione militare senza escludere l'impiego del nucleare contro Israele. Alle ripetute minacce di uscire dalla Lega araba il segretario generale dell'organizzazione, Amir Moussa, si è impegnato a ricucire i vari strappi, non sempre con successo. Anche se Gheddafi tenta di cogliere ogni occasione per rilanciare la propria leadership regionale, gli spazi di manovra sembrano piuttosto ristretti rispetto allo scenario africano. Tuttavia la Libia nei suoi giri di valzer diplomatici, sembra vagare senza una bussola: in realtà gli obiettivi di queste azioni politiche sono ben chiari e ricercati con grande spregiudicatezza e opportunismo. La Lega Araba è per ora uno scenario secondario, troppo implicato nelle proprie diatribe interne, e con gli Stati Uniti i margini di manovra sembrano molto limitati, almeno nel breve periodo. Si dedica all'Africa, dove gli interessi geopolitici occidentali sono troppo frazionati e confliggenti per ostacolare una loro azione politica. Il senso delle scelte libiche probabilmente potrebbero essere la disponibilità a riposizionarsi e a tornare sui propri passi facendo credere alla comunità internazionale che il leader di Tripoli è un uomo capace di adattarsi a tutti i contesti nel ruolo di protagonista indiscusso, senza dover subire l'iniziativa altrui ma quasi sempre nella condizione di chi conduce il gioco. E le idee, i mezzi, gli obiettivi sarebbero solo degli aspetti secondari rispetto alla sua "reale politica". Ma l'America difficilmente sarà colta di sorpresa, incapace di elaborare una reazione flessibile alle mosse del Colonnello e presa alla sprovvista da una situazione di totale apertura verso il paese africano. È probabile che non ci saranno svolte clamorose in questo accenno di disgelo, ma sarebbe molto meglio seguire ancora per un po' la politica dei piccoli passi che lascerebbero la strada aperta per nuove sanzioni, anche di carattere militare. Tuttavia Gheddafi è avvertito, deve rigare dritto, e dimostrarsi affidabile aiuto nella lotta contro i terroristi di ogni risma. Diversamente riguadagnerà tante posizioni quale bersaglio degli americani e alleati.

 

 

 

 

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