Libia: salta l’accordo tra Gheddafi e il governo Berlusconi
di Dimitri BuffaDel 10 aprile 2003 da L' Opinione
I crediti delle 115 e passa aziende italiane nei confronti della Libia almeno per ora non verranno pagati. Checchè ne dica “Repubblica”.
Che in un articolo pubblicato ieri a pagina 28 si mostrava molto ottimista sulla positiva risoluzione del contenzioso pluridecennale con tutte quelle imprese che non hanno avuto la fortuna di avere i crediti garantiti dalla Sace. E che da anni si sono consorziate nell'Airil (Associazione italiana per i rapporti italo-libici) presieduta dal molto combattivo Leone Massa. Che poi è uno di loro: un bidonato. Ma Gheddafi nella fattispecie è riuscito a bidonare persino a Berlusconi. Non rispettando nè le scadenze nè le modalità di pagamento concordate lo scorso 28 ottobre a Tripoli in un incontro al vertice.
La prova più evidente della conclusione farsesca di questo accordo sta in una lettera datata 1 aprile 2003 scritta proprio da Massa al Presidente del consiglio in cui viene seccamente resocontata la cronistoria di questi ultimi cinque mesi di vane attese. Scrive Massa che “la gestione da parte della Farnesina dell'attuazione degli accordi di Tripoli è stata quanto di più fallimentare si potesse pensare”.
Perchè? Le doglianze sono elencate in 10 punti. Si va dalla “mancanza di indirizzo” dell’Associazione Libia Italia ( Ali, ente pressochè inutile creato ad hoc da Dini a suo tempo e mai servito a nulla se non a consumare stipendi e rimborsi) e dell’Unione delle banche arabe europee (Ubae) nella applicazione dei tassi di cambio, alla segretazione immotivata sino al 30 novembre del protocollo di Tripoli, al divieto per Ali e Ubae di avere contatti diretti con le aziende per la disamina dei titoli di credito e dei relativi documenti, al mancato coordinamento di Ali e Ubae sino alla mancata fornitura alle aziende italiane (contrariamente a quanto accaduto alle contro parti libiche) dei rapporti di suddetti enti.
Poi ci sono le lagnanze per l’invadenza delle banche arabe nella valutazione e nella quantificazione del debito libico e per l’acquiescenza del Ministero degli affari esteri che in pratica ha preteso che gli esponenti dell’Ubae si recassero alla Farnesina ad esaminare insieme a loro tutto il carteggio. Inoltre l’Ubae ha posto dei veti per il riconoscimento dei crediti per cui era diversa la titolarità tra il momento della produzione del danno e oggi, o derivanti da beni confiscati a imprese italiane nel 1970, per giunta riportando le valutazioni al solo capitale escludendo gli interessi anche in presenza di sentenze libiche che li riconoscevano, o conseguenti a danni per sequestro di cantieri e attrezzature o anche per la parte non assicurata dalla Sace di lavori o forniture inizialmente coperti da tale assicurazione. Insomma i libici hanno fatto da padroni alla Farnesina e alla fine la proposta indecente, rifiutata dall’Airil era la seguente: invece che 870 milioni di dollari più interessi accontentatevi di poco più di 600 milioni di dollari e senza interessi.
Il compromesso che si voleva far firmare all’Airil entro il 31 marzo, data entro cui Gheddafi si era impegnato con Berlusconi a rispettare i pagamenti, riguardava in pratica solo i soldi di “sorta capitale” depositati presso banche o enti libici. Mentre per il resto se ne sarebbe parlato nella prossima riunione del comitato misto italo libico prevista per metà maggio. Il tutto con la benedizione dell’ambasciatore Badini, molto più attento alla diplomazia con Libia che agli interessi dei cittadini italiani.Morale della favola? Tutto è finito in vacca, e nel frattempo strani personaggi libici hanno cominciato a telefonare alle imprese italiane chiedendo loro soldi in cambio di fantomatiche inclusioni in liste di creditori che sarebbero stati liquidati. Una tangente insomma, che univa lo scorno al danno. Tanto che il presidente dell’Airil Leone Massa così commentava la circostanza: “dovrò forse chiedere l’intervento del fondo antiracket intitolato a Tano Grasso?”