Libia, lo scempio del cimitero italiano.

Del 2 maggio 2003 da Il Velino Diplomatico

"I libici? Noi non ce l'abbiamo per nulla con loro. La causa del nostro malcontento, della nostra delusione sono gli italiani. È il governo, al quale noi abbiamo fatto credito. E che non sta facendo nulla di più di quanto hanno fatto gli esecutivi che l'anno preceduto". Giovanna Ortu, presidente dell'Associazione Italiani rimpatriati dalla Libia (Airl), non fa nessunissimo sforzo per nascondere che è arrabbiata. Il problema dell'indennizzo dei beni confiscati dal colonnello Gheddafi ai 20 mila italiani rimpatriati dalla Libia è sempre in alto mare. Ma c'è anche un altro problema, adesso, a farle perdere la calma: il cimitero. A Tripoli, il cimitero degli italiani era quello, cattolico, di Hammangi: a circa cinque chilometri dal centro, sulla strada per Cabrata: un posto da dove, in basso, si vede il mare; e dietro la distesa d'acqua azzurra, si indovina l'Italia. Una vera e propria cartolina. Che però, dopo l'espulsione degli italiani (1970) si è trasformata con il passare degli anni in un luogo da incubo. "Viali, invasi da erbacce, tra tombe divelte; cappelle che recano i segni della devastazione. Uno scempio", è così che, grazie ad un visto per la Libia ottenuto in via del tutto personale, la Ortu lo ha "scoperto" qualche mese. A segnalare alla presidente dell'Airl lo stato di degrado del cimitero, un libico spinto da nient'altro "che dal rispetto dovuto ai morti". Del resto, poco lontano, il cimitero britannico si presenta al visitatore come un curatissimo giardino... inglese. "Non so dire se è prevalsa in me la commozione sulla rabbia, o viceversa. Mi ribello comunque all'idea che la dignità dei nostri morti sia ridotta ad una questione di "reperimento di fondi" da parte della Farnesina", ricorda la Ortu. Nel cimitero ci sono attualmente 8.100 salme di italiani, oltre a un migliaio di salme di non italiani. L'Airl ha già comunicato al ministero degli Esteri di essere pronta a farsi carico dell'onere finanziario per la ristrutturazione del sito. La soluzione individuata dall'ambasciata sarebbe di trasferire le ossa dei morti italiani nell'ex sacrario, opportunamente privato di ogni caratteristica monumentale. Le ali - spiega la Ortu - si prestano a ricevere le cassette singole ridotte; le aiuole all'interno e all'esterno possono contenere gli ossari: la cappella centrale, forse ampliata con un portico, può servire per cerimonie funebri.


"Anche il Vaticano responsabile"

 

Nel raccontare al Velino lo "scempio" del cimitero, Giovanna Ortu non risparmia una frecciata al Vaticano: "Era la chiesa che doveva esigere che le autorità libiche mostrassero rispetto per il cimitero cattolico. Certo Monsignor Martinelli non ha dedicato troppe delle sue energie a questo problema...", dice. Gli indennizzi non pagati: ammonterebbero a oltre mille miliardi di vecchie lire, i rimpatriati si accontenterebbero della metà. Quando gli italiani furono espulsi dalla Libia, i loro beni immobili confiscati dalla Libia furono stimati (fonti ufficiali) circa 200 miliardi di lire; somma che, con i depositi bancari e le varie attività imprenditoriali e artigianali ammontava a circa il doppio, cioè a 400 miliardi. "La confisca - ricorda la Ortu - avvenne in violazione di un accordo internazionale del 1956 del quale l'Italia non pretese il rispetto; e rinunciando alla prevista clausola arbitrale, lo Stato italiano si è assunto la responsabilità dell'indennizzo". Fino ad oggi, tra il 1972 e il 2000, lo Stato ha versato ai rimpatriati circa 300 miliardi di lire. In teoria, applicando la tabelle di rivalutazione dell'Istat, dovrebbe ancora pagare più di mille miliardi di lire. Per i rimpatriati, il minimo accettabile non può essere meno 500 miliardi di vecchie lire. Una somma, si fa notare, a conti fatti modesta, se si pensa che l'interscambio italo-libico è sui 14.000 miliardi di lire. Il governo Berlusconi, e il premier personalmente ma anche il suo vice Gianfranco Fini, si era impegnato con l'Airl a risolvere il problema; ed aveva fatto propria anche la richiesta dell'Associazione sulla necessità che Tripoli conceda ai rimpatriati il visto per la Libia. I risultati sono stati però vicini allo zero. Sull'indennizzo, la finanziaria 2003 prevede solo sette milioni di euro (in tre anni); "un segnale che conferma, in via simbolica, il buon orientamento del governo. Ma per il futuro ci attendiamo ovviamente uno sforzo più chiaro e concreto", dice "soft" la Ortu al Velino. Quanto alla "pressione" sulle autorità libiche affinchè ai rimpatriati sia concesso il visti d'ingresso in Libia, a nulla sono serviti neppure i colloqui che Berlusconi ha avuto con Gheddafi a Tripoli. La "pratica" è sempre ferma ed i pochi rimpatriati che hanno avuto il visto, lo hanno ricevuto a titolo di "gentile omaggio" da parte delle autorità libiche. La terza richiesta era la rimessa in ordine del cimitero. Tema, nel frattempo, diventato quella che sta maggiormente a cuore all'Airl. (reb)

 

 

 

 

 

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