Il portafoglio del Corano
di Mara MontiDel 11 gennaio 2003 da Il Sole 24 Ore
La finanza guidata dalle leggi coraniche della Shari'ah: e il principio che regola l'organizzazione delle banche islamiche per le quali la remunerazione del capitale, ovvero l'interesse (in arabo riba), viene considerato alla stregua dell'usura. Proibito, quindi, incassare e corrispondere interessi, benché la banca islamica sia un'istituzione che prende depositi e svolge tutte le attività ordinarie di un istituto di credito. Dividendi e partecipazioni sono le uniche forme di remunerazione. Un intreccio di comportamenti economici e religiosi che anche l'Occidente sta riscoprendo attraverso i fondi etici: per la finanza della "mezzaluna" è proibito investire in aziende che producono alcolici, commerciano in carni suine, gestiscono il gioco d'azzardo o materiale pornografico. Nei casi più restrittivi, sono banditi gli investimenti in società che producono armi, tabacco o sono attive nei settori dello spettacolo e in quello alberghiero. Balzata alle cronache a seguito dei tragici eventi dell'11 settembre, la finanza islamica ha rischiato di essere associata troppo frettolosamente al terrorismo internazionale dopo che una delle sue banche è finita nella lista nera degli ispettori americani con l'accusa di connivenza con al-Qaida, l'organizzazione terroristica di Bin Laden. Eppure, la peculiarità islamica di promuovere l'attività bancaria, proibendo però l'erogazione, sotto qualunque forma, di tassi di interesse, sta facendo proseliti anche tra le banche Occidentali. Molte grandi istituzioni multinazionali hanno già cominciato ad usare tecniche islamiche per svolgere le loro attività sia con clienti musulmani sia in regioni a predominanza musulmana. Tra queste, vi sono Citibank, HSBC Bank Plc, BNP Paribas, ABN Ambro, Société Generale, UBS, Pictet & Cie, Barclays. Tuttavia, in Occidente le banche islamiche stanno ancora operando in un contesto legale poco adatto alla loro natura che è diversa da quella delle banche ordinarie. A questo proposito, la Bank of England sta studiando come modificare tale contesto pur salvaguardando gli standard internazionali. E in Italia ? Per ora Banca d'Italia non ritiene che ci siano le condizioni per introdurre fondi di diritto islamico o altre forme di raccolta. Ma non ci sono preclusioni. "L'esigenza di potere offrire in Italia prodotti finanziari islamici - dice Giovanni Castaldi della divisione vigilanza di Banca d'Italia, tra i partecipanti a un convegno a Roma sul sistema finanziario islamico - potrebbe avvenire attraverso una banca di diritto italiano, controllata da una istituzione islamica con sede all'estero. E tra i prodotti finanziari islamici, modelli ad essi riconducibili potrebbero essere i fondi comuni di investimento". Gli interrogativi sorgono a livello operativo: non garantendo la restituzione dei depositi in base al principio della condivisione dei risultati tra chi effettua il deposito e chi li gestisce, diventa problematica l'adesione al fondo interbancario di garanzia. Gli interessi sono enormi: si stima che le istituzioni finanziarie islamiche gestiscano un patrimonio tra i 150 e i 180 miliardi di dollari e su cui in tanti vorrebbero mettere le mani, piegandosi alla legge della Shari'ah. Secondo il principio del Corano, anche i non-musulmani possono costituire e gestire banche o fondi islamici purché ciò venga fatto in buona fede e non per motivi di concorrenza. Queste attività devono poi essere segregate dalle attività non islamiche e non solo da un punto di vista giuridico perché i flussi delle due attività non possono mischiarsi. Massima equità e trasparenza sono ala base di ogni relazione economica, la mancanza delle quali equipara gli scambi commerciali al gioco d'azzardo, già duramente proibito.