Italia: debito ridotto a chi ci aiuta.
Paesi africani chiedono investimenti
di Maurizio Caprara
Del 24 giugno 2003 da Corriere della Sera
ROMA— C'è anche la riduzione del debito con l'Italia tra gli incentivi che il governò offre agli Stati pronti a bloccare in casa propria i flussi di immigrazione clandestina diretti verso il nostro Paese. Al di là dei proclami di facciata sull'aiuto ai poveri, fin dai tempi dei governi dell'Ulivo questa misura è stata impiegata soprattutto con uno scopo: convincere numerose nazioni ad affondare progetti di riforma dell'Onu sconvenienti per noi e a votare le nostre candidature ai seggi temporanei del Consiglio di sicurezza. Ieri, in una colazione offerta a 24 ambasciatori africani, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha colto l'occasione per far capire che anche frenare in partenza l'emigrazione illegale può servire a rendere meno disastroso un bilancio statale.
Dagli ambasciatori è venuta la richiesta di più investimenti. La risposta è stata che le nostre aziende devono essere messe in condizione di lavorare con sicurezza e con maggiore efficienza da parte delle burocrazie locali.
Dovunque nel mondo, i contatti tra Stati su come scoraggiare i viaggi dei disperati sono fatti di scambi di appoggi politici e anche di trattative come al mercato. Gli affari delle bande che mettono in mare quei poveracci, a rischio di farli morire, si innestano su un grande fenomeno, spontaneo. Per tante polizie è materialmente difficile da controllare, tuttavia alcuni regimi tendono a chiudere un occhio in attesa di ricavarne vantaggi. Al momento sono 17 gli Stati con i quali l’Italia ha in piedi un confronto per raggiungere accordi di riammissione, senza i quali rispedire nei Paesi di provenienza i clandestini è un'operazione molto più lunga e spesso impossibile. Secondo la legge Bossi-Fini, le persone scoperte ad entrare di nascosto nel nostro Paese vanno tenute nei cosiddetti centri di accoglienza al massimo 60 giorni. I rimpatri possono anche avvenire in base al principio del diritto internazionale secondo il quale uno Stato ha il dovere di riammettere sul proprio territorio i propri cittadini respinti da un altro. Ma gli accordi di riammissione servono, per esempio, a definire tempi certi nella collaborazione che occorre dal Paese di provenienza per l'identificazione del fermato e il rilascio dei documenti necessari al suo viaggio di ritorno.
Il governo Berlusconi ha firmato gli accordi con Malta, Moldavia, Cipro, Sri Lanka e un nuovo testo con Serbia Montenegro. Tra gli Stati ritenuti efficaci da Farnesina e Viminale nel combattere l’immigrazione clandestina non c’è soltanto l'Albania. Lo Sra Lanka viene ritenuto esemplare. Il lavoro da fare però resta molto.
Con la Libia, dalla quale passa il flusso più consistente verso l'Italia, formato quasi tutto da non libici, è in via di definizione un accordo contro le partenze illegali preparato dal ministro Giuseppe Pisanu, però uno di riammissione non è neppure all’ordine del giorno.
Tra i 17 Stati, veri negoziati sono aperti con 14: Bangladesh, Bosnia, Colombia, Egitto, Ecuador, Filippine, Ghana, Iran, Libano, Pakistan, Perù, Senegal, Siria, Ucraina. Con Cina, India e Turchia si è al semplice stadio dei contatti sulla materia, il che non significa situazioni identiche. La Cina avanzava resistenze. Con India e Turchia la collaborazione operativa è buona.
Quasi sempre, un ostacolo sta nella richiesta dai potenziali Paesi contraenti di maggiori quote di emigrazione legale in Italia. Quote che l’Italia definisce di anno in anno con un decreto, mentre gli accordi di riammissione riguardano archi di tempo più lunghi.