“Gheddafi cerca armi di sterminio, le sanzioni non vanno cancellate”

dal nostro corrispondente Ennio Caretto

Del 25 giugno 2003 da Corriere della Sera

WASHINGTON — Il Dipar­timento di Stato ribadisce il «no» americano alla revoca delle residue sanzioni dell'Onu contro la Libia. Il porta­voce Gregg Sullivan dichiara al Corriere della Sera che non possono ancora essere annullate e che gli Usa inten­dono comunque mantenere le loro sanzioni bilaterali. Spiega che non solo la Libia non ha accettato la responsa­bilità della strage di Lockerbie dell'88, pur avendo conse­gnato alla giustizia uno dei suoi autori, ma cerca anche di procurarsi armi di stermi­nio, in particolare armi chimiche. Il consulente della Casa Bianca Daniel Pipes è duro: «La Libia sta ricattando l’Ita­lia — afferma—. Con Ghedda­fi ci vuole il pugno di ferro, non un guanto di velluto».

Sullivan precisa che l'Onu chiede tre cose al­la Libia prima di revocare le ultime sanzioni: «Che ammetta la sua colpa nell'attentato all'aereo della Pan Am. Che risarcisca le famiglie delle vittime. E che rinunci formalmente, con una dichiarazione scritta, al terrori­smo». Quest'ulti­mo punto, sottoli­nea, «è molto im­portante per noi. Se la Libia non soddisferà tutti e tre i punti, ci op­porremo a qualsiasi miglioramen­to della sua posizione». Il portavo­ce aggiunge che, a nome dell'Onu, delegazioni americane e britanniche si sono in­contrate con i libici quattro volte, l'ultima l'11 marzo, ma non ci sono altri colloqui in programma.

«Ogni volta il sottosegreta­rio aggiunto William Bums si è recato a Londra — riprende — per illustrare agli emissari di Gheddafi che cosa l'Onu si aspetti. Ma non ha registrato i progressi sperati». Daniel Pi­pes lo spalleggia: «C'è una scuola di pensiero secondo cui Gheddafi si è riformato, ha smesso di appoggiare il terrorismo, ha sepolto il suo libro verde, non combatte più Israele e si occupa del­l'Africa. Ma io non sono d'ac­cordo. Io penso che Ghedda­fi si senta sotto pressione, sia spaventato e mantenga un basso profilo, e che gli Stati Uniti e l'Ue, Italia in testa vi­sto che ne assume la presi­denza di turno, debbano pre­mere sempre di più invece di fargli concessioni. Non è il momento».

Neppure se la Libia ottem­perasse ai suoi obblighi verso l'Onu, cui ha promesso di ver­sare 2 miliardi e 700 milioni di dollari per i familiari delle vit­time di Lockerbie, l'America leverebbe le sanzioni bilatera­li. Nota Sullivan: «In un se­condo tempo, a faccia a fac­cia per la prima volta, solleve­remmo il problema del suo tentativo di riarmarsi. Non abbiamo discusso se ricorre­re all'Orni o no, ma è chiaro che chiederemmo alla Libia di rinunciare alle armi di ster­minio. Soltanto in quel caso revocheremmo le sanzioni». Il portavoce rifiuta di scende­re in dettagli, ma l'altro ieri il sottosegretario di Stato John Bolton ha accusato Gheddafi di «strumentalizza­re la normalizzazione della sua economia per perseguire più aggressivamente il proprio riarmo: a esempio agenti libici tenta­no di ottenere tec­nologie a doppio uso, civile e milita­re».

Non è escluso che i consiglieri di Bush e Berlusconi affrontino la questione a margi­ne dell'incontro dei due leader a Crowford nel Texas il 20 e 21 lu­glio prossimi. Il se­gretario di Stato Colin Powell ha ri­cevuto un rappor­to dalla Cia, il ser­vizio segreto ame­ricano, che affer­ma tra l'altro: «Sebbene la Libia abbia fatto delle aperture all'Occi­dente per rafforzare le relazio­ni, il suo continuo interesse per le armi atomiche e le at­trezzature nucleari suscita il nostro allarme». In visita a Londra, Bolton si sarebbe spinto ancora oltre, sostenen­do che Gheddafi ha segreta­mente dato asilo a degli scien­ziati atomici iracheni dopo la guerra dell'Iraq. Nè Gregg Sullivan nè Daniel Pipes han­no voluto confermarlo: «Non ho informazioni in merito» hanno ribattuto entrambi.

Stando al quotidiano ingle­se Financial Times, «il regi­me del colonnello Gheddafi è nuovamente nel mirino ame­ricano», subito dopo l'Iran, la Corea del Nord e la Siria, pur senza essere incluso nel co­siddetto «Asse del male». Se fosse un giudizio fondato, le possibilità di una revoca definitiva delle sanzioni dell’Onu sarebbero minime.

 

 

 

 

 

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