Equipaggi misti sulle motovedette, così verrà "dribblato" l'embargo
di Claudio TitoDel 29 giugno 2003 da La Repubblica
ROMA - Quell'annuncio dato con troppa fretta da Silvio Berlusconi stava per far saltare tutto. Ma alla fine lo strappo è stato ricucito. L'Italia e la Libia firmeranno l'accordo perla lotta all'immigrazione clandestina. Dopo 92 anni, ossia dal 1911, mezzi e truppe italiane solcheranno di nuovo i confini libici. Questa volta, però, per scopi pacifici: l'addestramento della polizia di Tripoli. Un'azione che coinvolgerà non tanto la Marina militare e i Carabinieri, come sembrava in un primo momento, quanto la Guardia di Finanza e la Guardia costiera. Per arrivare all'intesa una delegazione delle forze dell'ordine di Gheddafi è arrivata in gran segreto a Roma da alcuni giorni. Dall'altra parte del tavolo si è seduto il prefetto Alessandro Pansa, il direttore della polizia di frontiera. Certo, il protocollo attende ancora un'ultima messa a punto. Nella sostanza, però, è chiuso. Un accordo che punta essenzialmente su un aspetto: l'addestramento del personale libico nella lotta all'immigrazione clandestina. Toccherà alle Fiamme gialle e agli uomini delle Capitanerie di porto entrare in diretto contatto con i corrispettivi libici. I Finanzieri e le imbarcazioni italiane verranno ammesse nelle acque territoriali della Libia. Ma a bordo sarà sempre presente il personale libico. Una procedura ben diversa da quella descritta tre giorni fa dal premier italiano. Uno stratagemma che consentirà di aggirare l'embargo e di non urtare la sensibilità delle autorità locali. Molti aspetti dovranno essere ulteriormente approfonditi. Non a caso la delegazione libica rimarrà anche oggi a Roma. E non a caso proprio di questo parleranno oggi in Sardegna, a Porto Rotondo, il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e il titolare del Viminale. Negli ultimissimi giorni Pisanu era stato piuttosto chiaro con i suoi "ambasciatori" e con le autorità libiche: "Si deve chiudere l'intesa oggi o domani, altrimenti io mercoledì a Tripoli non vado". Quasi un ultimatum. Per sbloccare la situazione è intervenuto personalmente anche Berlusconi che ha fatto valere quelli che lui stesso definisce "rapporti buonissimi" con il "Colonnello". Il Cavaliere considera questo un "passo fondamentale" soprattutto alla luce delle tensioni nella maggioranza sull'emergenza immigrati. "Qualcosa di concreto -ha ribadito ieri a Pisanu - dobbiamo farla. Dobbiamo dimostrare che sappiamo trovare soluzioni". Con Tripoli, però, ancora c'è da lavorare. Nella lunga trattativa, infatti, la delegazione libica ha avanzato alcune richieste che sono rimaste in sospeso. Ad esempio ha tentato di vincolare il patto al trasferimento di tecnologia Gps e satellitare per il controllo dei confini, sia quelli marini sia quelli territoriali in pieno deserto del Sahara. La Libia, poi, non ha i mezzi per contenere i flussi migratori, in particolare ha una flotta antiquata non in grado di intercettare i natanti diretti verso l'Italia. Ma non solo. Gli uomini di Gheddafi hanno fatto capire di gradire qualche gesto di buona volontà: a partire da una collaborazione per la costruzione di in-frastrutture come strade e autostrade e, soprattutto, per creare almeno un varco nella rete dell'embargo. E per dimostrare un'equivalente buona volontà, negli ultimi quattro giorni il governo del paese africano ha iniziato a smantellare le baraccopoli che, lungo la costa settentrionale, sono le stazioni di partenza per i viaggi verso il "Belpaese". In tutto questo, però, si è inserita una delle più classiche beghe politiche italiane. Sulla fuga in avanti di Berlusconi si rimpallano la responsabilità i ministri degli interni e degli Esteri. Dal Viminale, infatti, sospettano che le indicazioni fornite al premier siano state date dalla Farnesina per ostacolare un progetto da cui era stata tenuta fuori. E, come notano al ministero degli Interni, ora si sta per centrare un obiettivo mancato nel '99 "anche dall'allora ministro degli Esteri Dini"