A Saddam un processo-farsa

di Anna Maria Merlo

Del 7 luglio 2004 da Il Manifesto

PARIGI. Emmanuel Ludot fa parte del collegio di venti avvocati - diventati ventuno con la figlia del leader libico Muhammar Gheddafi - designati per la difesa di Saddam Hussein (e anche di Tareq Aziz e dell'ex ministro della difesa), provenienti da Giordania, Egitto, Tunisia, Marocco, Yemen, Libano, Libia , Iraq, Gran Bretagna, Stati uniti e Francia. Appena tornato dalla Giordania, risponde alle domande dei cronisti al Centro della stampa estera di Parigi, mentre da Amman dovrebbe partire per l'Iraq un convoglio di 1500 consulenti volontari di vari paesi. 

Il diritto alla difesa di Saddam Hussein è assicurato? 

Abbiamo molte difficoltà e intralci, che provengono dal nuovo regime iracheno e dall'amministrazione statunitensi, responsabili dell'istruzione del tribunale. Il ministro della difesa e quello della giustizia iracheni ci hanno promesso di fare una brutta fine sul territorio iracheno se continuiamo a voler difendere Saddam Hussein. Ma noi dobbiamo poter andare in Iraq, anche se non siamo protetti da nessuno. Il nostro obiettivo è convincere il generale che controlla il prigioniero Saddam Hussein di stabilire un giorno per la visita e che ci garantisca un minimo di sicurezza per fare i 300- 400 metri che separano il nostro cliente dall'aeroporto di Baghdad. 

Avete già scelto una strategia di difesa? 

In un primo tempo abbiamo avuto paura di un processo sbrigativo, con gli avvocati tenuti a debita distanza. Ma il nuovo regime non poteva permetterselo per ragioni di immagine. Il processo non inizierà prima delle elezioni americane e dovrebbe durare circa due anni, a quanti dicono. Ma questo tribunale ci riporta al Medioevo: il nostro lavoro consisterà nel paralizzare il tribunale; chiederemo il curriculum vitae di tutti i giudici, che sono stati scelti dal pm Chalabi e se metteremo ostacoli sufficienti forse riusciremo a far fare marcia indietro, perché sia l'Onu a proporre i magistrati, scelti per competenza e indipendenza, contrariamente ad adesso. Per noi un processo accettabile sarebbe sul modello di quello che si sta svolgendo per la Sierra Leone. Per noi l'urgenza è che il tribunale non vada a fondo nella sua logica e che non ci sia la pena di morte. E'una cosa aberrante: sono state create leggi apposta, per giudicare una situazione anteriore. In Francia avevamo conosciuto questo solo durante il regime di Vichy 

Come sono stati scelti i 21 avvocati? 

La moglie e le due figlie di Saddam Hussein hanno cercato degli avvocati. In Medioriente esiste un'Arab Lawyers Union, che riunisce tutti gli ordini degli avvocati della regione, che è osservatore all'Onu e che è nata per farsi carico dei prigionieri di guerra, a cominciare dai palestinesi. Io personalmente sono stato contatto dall'ex segretario, un avvocato tunisino, con cui avevo già lavorato. Ho accettato. Ci hanno imposto di avere un referente iracheno. L'abbiamo. Adesso aspettiamo di vedere Saddam Hussein e che lui confermi la scelta della famiglia. Abbiamo accettato la difesa di Tareq Aziz a condizione che non ci chiedesse di difenderlo contro gli interessi di Saddam Hussein. 

Chi vi paga? 

E' in via di costituzione un fondo, che proviene da donazioni di diversi paesi, in condizioni trasparenti. Sono soldi puliti. La sola provenienza che posso indicare ora è quella della Libia . Ma ci sono molti paesi arabi. Il nostro lavoro consisterà anche a chiedere agli Stati uniti di sbloccare parte dei soldi che Saddam Hussein ha in Svizzera. Quando l'hanno arrestato, un responsabile statunitense aveva detto: pagheremo 40 avvocati per difendere Saddam Hussein. L'ho preso sul serio. Chiedo a Washington: volete pagarmi? Fatelo! 

La Francia ha preso posizione? 

Definisco con i termini nullità, negligenza e ignoranza la posizione del Quai d'Orsay. Partecipare alla divisione della torta irachena è più interessante che difendere un processo equo. 

 

 

 

 

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