Dal sogno all'incubo

di Andrea Tarroni

Del 8 luglio 2004 da Corriere di Romagna

RAVENNA - La voce di Primo Morgagni è quella malinconica e rassegnata di un uomo che, ad un torto subito, ha visto aggiungersi la beffa. La sua è una storia di speranze rincorse con coraggio, di crediti mai saldati, di tasse astronomiche di “controstallia” mai ricevute, di un fallimento segnato dalla “pirateria” - così si sente di definirla - del regime di un colonnello. Dal 1979 attende il pagamento di due commesse partite dal porto di Ravenna e giunte a Tripoli. In quell'anno è socio e anima, insieme al fratello Romano, della Mosa spa, con sede in via Antico Squero. Commercia in cereali, fertilizzanti, composti secchi in generale. La prima nave, nel '77, porta merci per oltre mezzo milione di dollari. Mai pagati. Poi un'altra, all'inizio del '79: l'importo viene regolarmente saldato. Quasi un'illusione in attesa della terza spedizione: una commessa poco inferiore al milione di dollari. La merce viene sbarcata, ma le autorità libiche non autorizzano il pagamento. Una sorta di “sequestro” imposto da “un'autorità di legge” criminale. “Furono mesi terribili - racconta Morgagni -. Le navi che trasportavano cereali, alimenti, merci comuni erano costrette ad attendere per giorni e giorni a trecento metri dall'attracco di Tripoli che, all'epoca, non era esageratamente attrezzato. Alcune navi che provenivano dalla Russia, invece, godevano di un canale preferenziale. Trasportavano armi, materiale bellico. Le tasse di controstallia, per le merci che hanno atteso settimane in acque libiche, fanno parte del debito che quel paese ha ancora con me. E che mantiene con molti altri, nonostante tutto”. Nonostante l'accordo bilaterale del 2002, che prevedeva il pagamento dei crediti alle imprese italiane entro il marzo 2003. In tutto, 362 milioni di euro. Nonostante l'Odg alla Camera, approvato con larga maggioranza e che, disatteso l'accordo, imponeva una rivalutazione monetaria dei capitali e degli interessi. Nonostante, infine, il clamoroso atto dell'Airil (associazione italiana per i rapporti italo-libici), che “risale” a due giorni fa. Per fare pressione al Governo, affinché spinga il vertice libico ad assolvere ai propri doveri, l'ente presieduto da Leone Massa ha presentato un atto di diffida e messa in mora al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, notificato a Palazzo Chigi. “Voglio proprio vedere - è il commento di Massa - se viviamo in uno stato di diritto o di reale democrazia. Ci sono varie azioni parlamentari disattese. E lo stesso Parlamento se ne disinteressa”. Intanto l'inesorabile fine toccata alla Mosa è storia vecchia. “Senza quei pagamenti, ci mancava l'ossigeno. Iniziarono i debiti, i contratti che non potevamo rispettare per deficit finanziario, le conseguenti penali da pagare. L'incubo iniziò nell'82. Vincere le cause contro lo stato libico non contò nulla. Nell'88 chiudemmo bottega, e tutto il nostro capitale fu liquidato”. Fallirono, vantando un credito di 5 milioni di dollari. Con la rivalutazione monetaria, sarebbero ancora di più. Ora l'Airil continua a lavorare per scongiurare quella beffa. Anche se con vent'anni di ritardo.

 

 

 

 

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