Andreottian - Mediterranei
di Marcello SorgiDel 22 febbraio 2006 da La Stampa
Anche se non si può ridurne la portata solo a questo, le polemiche seguite al caso Calderoli e agli incidenti di Bengasi hanno un chiaro sottofondo elettorale. Da molto tempo infatti, prima ancora dell' 11 settembre, nell'Europa invasa da flussi migratori inarrestabili, e per certi versi incontrollabili, il problema dell'integrazione possibile delle società multiculturali ha svelato un vasto e redditizio campo di raccolta, per la politica spregiudicata che voglia e sappia approfittarne. Dall'Olanda di Pim Fortuyn alla Francia di Le Pen, ieri, e oggi di Chirac, Sarkozy e delle banlieues, carezzare le ragioni e i pregiudizi, anche quelli fondati, di larghe aree di popolazione verso immigrati, clandestini o interi gruppi etnici, ha dato spesso risultati imprevedibili, in grado di ribaltare equilibri di potere consolidati. Destre classiche, radicali o populiste, quando non nazionaliste, sono state in prima fila nel cercare di avvantaggiarsene, a discapito di sinistre riformiste, laiche o cattoliche, spesso impacciate in reticolati ideologici, di cui tuttavia hanno imparato a liberarsi. Soccombente, almeno in una prima fase, specie in questo scorcio di secolo gravato dall'orrore delle Torri gemelle e delle guerre che ne sono seguite, è stata la cosiddetta «linea del dialogo». Quell'insieme di mosse, giocate sopra e sotto il tavolo, per tentare di distinguere, all'interno del mondo arabo, tra moderati ed estremisti, e in quello islamico, tra l'Islam «normale» e quello apertamente fiancheggiatore del terrorismo. Per cercare, in altri termini, di evitare di giungere al punto di rottura, o di arrivarci, com'è accaduto, il più tardi possibile. E' precisamente in questo scenario (e meno in altri) che l'Italia s'è sempre trovata a suo agio. Non si capirebbe la recente (ed eccessiva) prudenza del ministro Fini nei confronti della Libia, la mancanza di reazioni formali, la riduzione di incidenti così gravi come quelli di Bengasi ad una conversazione al telefono tra Berlusconi e Gheddafi, se non si tenessero presenti i nostri tradizionali rapporti con l'inquieto colonnello dirimpettaio, che dalla sua tenda, nelle belle giornate, può persino avvistare le coste siciliane. Di Gheddafi infatti, come di molti e non fra i migliori leader arabi, noi siamo sempre stati amici. In un modo o nell'altro, anche quando, ormai vent'anni fa, il colonnello bersagliava Lampedusa con i suoi missili spompati, mentre Reagan faceva bombardare Tripoli e la tenda con i suoi familiari.