Assaltata l’unica chiesa cristiana a Bengasi

di Antonella Tarquini

Del 19 febbraio 2006 da Il Tempo

Il popolo libico piange i suoi morti mentre resta alta la tensione a Bengasi dopo l'attacco, duramente represso dalla polizia, di una folla inferocita contro le vignette blasfeme di Maometto, che venerdì pomeriggio al grido di «a morte Calderoli» e «sputiamo sugli italiani» ha devastato il consolato generale d'Italia nel capoluogo della Cirenaica. Nella notte è stato appiccato il fuoco al sagrato dell'unica chiesa cattolica della città dedicata a Maria Immacolata, e ieri mattina un principio di incendio, prontamente domato, si sarebbe sviluppato al primo piano del consolato, deserto perché tutto il personale è stato portato al sicuro a Tripoli e il console Giovanni Pirrello è ospite in una residenza governativa di Bengasi in attesa che passi la tempesta. Il consolato, così come l'arcivescovado, sono presidiati dalla polizia, che è intervenuta per disperdere sporadiche manifestazioni animate soprattutto da parenti e amici delle vittime degli scontri di venerdì, su cui il governo libico ha aperto un'inchiesta proclamando per domani una giornata di lutto. Il bilancio è di undici i morti (tra cui quattro egiziani e palestinesi) e 35 feriti stando a quanto dichiarato nel pomeriggio da Seif el Islam (che vuol dire la spada dell'Islam) Gheddafi, figlio maggiore del secondo matrimonio del colonnello che ha definito «un errore la manifestazione e un errore ancora più grande l'intervento della polizia contro i dimostranti». Ma all'indomani di tanta violenza molti si chiedono come in uno Stato dove la polizia notoriamente è sempre all'erta, centinaia di persone abbiano potuto agire indisturbate per oltre due ore senza che nessuno le fermasse. Seif el Islam dirige la Fondazione caritativa Gheddafi (che si è occupata tra l'altro del risarcimento alle vittime degli attentati aerei di Lockerbie e Niger alla fine degli anni '80), da molti considerata il vero ministero degli Esteri della Jamahiriya. Con toni molto meno diplomatici e accomodanti di quelli usati nei colloqui ufficiali con l'ambasciatore d'Italia a Tripoli Francesco Trupiano dalle autorità che hanno condannato l'attacco «ad un paese amico come l'Italia» - il giovane «delfino» affidandosi ad un comunicato della Fondazione ha tuonato senza mezzi termini contro il ministro Calderoli imputandogli la responsabilità delle violenze di Bengasi. Colpa delle sue «provocatorie dichiarazioni contro l'Islam», ha aggiunto il figlio del colonnello che giorni fa aveva affermato a Repubblica che Berlusconi avrebbe dovuto licenziarlo proprio per tale motivo, beccandosi un piccato «lezioni da lei non ne prendo e non mi lascio intimidire» come risposta del battagliero Calderoli. Che Roma «prenda misure urgenti contro questo ministro pieno di odio e razzista, altrimenti i suoi rapporti e interessi con la Libia passeranno per una fase delicata e decisiva di riesame», ha minacciato ieri mattina nel comunicato della Fondazione reso noto prima che Calderoli si dimettesse. Misure urgenti hanno intanto colpito il ministro degli Interni Nasr Mabrouk, sospeso dall'incarico e deferito davanti ad un giudice istruttore secondo un comunicato del segretariato del Congresso generale dei comitati popolari (parlamento) che denuncia «l'uso immoderato della forza». Stessa sorte è toccata al capo della polizia di Bengasi. Nel pomeriggio la calma sembra tornata nel capoluogo della Cirenaica e i quattro funzionari del consolato che con consorti e figli, oltre alla moglie del console Pirrello, sono stati portati in un albergo di Tripoli aspettano con pazienza di sapere quando potranno tornare a casa. Tutti ancora sotto choc e concordi nel dire che è stato un pomeriggio di paura.

 

 

 

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