Gheddafi, Calderoli e il coraggio di difendere le nostre libertà
di Davide BoniDel 8 marzo 2006 da La Padania
Sono pochi i politici che hanno il coraggio di rischiare la vita per difendere le proprie opinioni. Roberto Calderoli è uno di questi. Ma avere il coraggio delle proprie idee non suscita molta stima nel paese dei cachi, dove è sempre meglio curvare la schiena, piuttosto che rischiare qualcosa. E così Calderoli, abbandonato da maggioranza e opposizione, “dimissionato” da ministro della Repubblica, si ritrova nel mirino di Al Queda. Le minacce non arrivano da un sito internet, ma dal numero due in persona, il medico egiziano Ayman Al Zawahri, intervenuto in un video trasmesso da Al Jazira, per dire che l’organizzazione terroristica «non ha dimenticato il ministro italiano che ha indossato le vignette criminali che hanno offeso il Profeta». Ma di Calderoli aveva parlato anche qualche giorno fa quella buona lana di Gheddafi, che, per una volta, ha voluto rendere giustizia alla verità storica, facendo chiarezza sugli scontri di Bengasi, sostenendo che le vignette di Calderoli non c’entrano per nulla, anche perché, ha affermato il raìs libico, «i manifestanti non protestavano certo per le vignette, visto che non sanno nemmeno dove e cosa sia la Danimarca». Il dittatore ha avuto, in questi ultimi giorni, tutto il tempo per spiegare le cause che hanno portato alla manifestazione di Bengasi. Stando a Gheddafi, il popolo libico prova ancora malumore e risentimento verso l’Italia per i presunti danni coloniali. É una colossale e tragica presa in giro. Anche perché, se danni vi furono, si può ben dire che furono ampiamente risarciti nel luglio del 1970, quando 20 mila italiani nati in Libia furono costretti a lasciare il paese, dopo il golpe militare, che portò al potere l’attuale regime. Il governo dittatoriale requisì immediatamente tutte le proprietà degli italiani, per un valore complessivo pari a 400 miliardi di lire dell’epoca. Ancora oggi però, la Libia ritiene di essere ancora in credito e chiede sfacciatamente un indennizzo stratosferico: 3 miliardi di euro. É il costo della riconciliazione, spiega il raìs, ma soprattutto è la somma che serve a realizzare l’infrastruttura che a Gheddafi preme di più: l’autostrada litoranea. Il perché è presto detto. La Libia ha deciso di puntare sul turismo e sta realizzando sulla costa numerosi villaggi-vacanze, come già esistono in altri Stati nordafricani. C’è però un problema: manca la strada per raggiungerli e che dovrebbe collegarli. E dunque Gheddafi batte cassa al Pantalone di sempre: il governo italiano, che, secondo il raìs, dovrebbe quindi distrarre i fondi destinati alla Tav o al Ponte sullo stretto, per realizzare una bella e lunghissima autostrada lungo tutto il litorale libico. In cambio Gheddafi metterà una pietra sul passato: tante grazie. Ma il principale cliente degli oleodotti e dei gasdotti libici è il nostro Paese, che quindi, fosse solo per questo motivo, continuerà a mostrarsi accondiscendente come al solito. Un atteggiamento che, se, a causa della nostra perenne crisi energetica, può essere comprensibile con il governo di Tripoli, non può trovare assolutamente nessuna giustificazione con il terrorismo e il fanatismo islamico. Calderoli avrebbe dovuto rimanere al suo posto, con il sostegno e la solidarietà degli alleati di governo, che hanno invece scelto la strada dell’opportunismo. Ma di fronte ai massacratori dei bambini di Beslan, agli autori delle stragi di Madrid e New York, i governi non possono mostrarsi deboli e paurosi: occorre invece il coraggio di difendere sempre le nostre libertà e chi, come Calderoli, combatte per questo.