Tutti i nemici del colonnello
Del 8 marzo 2006 da Panorama
Analisti e diplomatici sono al lavoro nel tentativo di interpretare il j'accuse di Muhammar Gheddafi. Il leader libico non si è limitato a puntare l'indice contro i politici e giornalisti italiani che si sono resi colpevoli, a suo dire, di atteggiamenti contrari all'Islam. Ha anche aperto un capitolo, quello dei rancori lasciati dalla colonizzazione italiana, che sarebbe all'origine, secondo il colonnello, dei disordini di Bengasi contro luoghi di culto cristiani e il consolato italiano. Da un lato, dunque, il Raìs libico si lancia in un violento affondo verbale contro il ministro «fascista e razzista» Calderoli e dall'altro tende la mano all'Italia, auspicando un congruo indennizzo per i danni dell'epoca coloniale. Nulla di nuovo quindi se non la conferma che il Colonnello è un fuoriclasse del giro di valzer, del repentino cambiamento di rotta, della tattica del mordi e fuggi. ENNESIMA GIRAVOLTA Dopo aver sostenuto e addestrato i peggiori terroristi internazionali, Gheddafi ha ammesso recentemente le responsabilità dei suoi servizi segreti nell'attentato al volo Pan Am 103, esploso sul villaggio di Lockerbie nel 1988, risarcendo i parenti delle vittime. Per anni ha acquistato missili balistici cercando di crearsi un arsenale chimico e biologico e divenendo uno dei più pericolosi «rogue state» nel mirino degli USA. Dopo la caduta di Saddam Hussein, però, ha fiutato il vento, ha rinunciato alle ami di distruzione di massa e ha aperto le frontiere prima agli ispettori poi ai consulenti militari e d'intelligence anglo-americani. TATTICA INTERNA Una disinvoltura che rende Gheddafi poco affidabile ma che gli ha consentito di restare al potere per 37 anni. Anche la liberazione di 84 esponenti dell'organizzazione islamica Fratelli Musulmani, a inizio marzo, sembra costituire una mossa nel complesso gioco degli equilibri interni libici che ha l'obiettivo di legittimare un movimento composto per lo più da intellettuali per contrastare meglio i duri del Gruppo di Combattimenti Islamico Libico che da quindici anni combattono con le armi il regime. Una guerra della quale si è sempre saputo poco ma che ha sottratto al controllo governativo ampie zone della Cirenaica. Le montagne del Jebel el Akdar e le città di Tobruk, Derna e Bengasi sono infatti roccaforti del Gruppo Islamico di Combattimento Libico, movimento nato nei primi anni '90 dall'incontro tra 500 reduci che avevano combattuto l'Armata Rossa in Afghanistan con i miliziani algerini del Fronte Islamico di Salvezza in fuga dalla repressione militare. Un movimento che è stato sostenuto dal regime islamico sudanese che in quegli anni offriva asilo e ampi supporti a Osama bin Laden.Nel 1995 erano attivi in Libia anche altri due gruppi jihadisti, Ansar Allah e il Movimento dei Martiri dell'Islam, anch'essi legati al Gruppo Islamico Armato algerino. MANO DURA CONTRO GLI JIHADISTI Nei cinque anni successivi Gheddafi ha scatenato l'esercito e l'aeronautica nel tentativo di riprendere il controllo del Jebel el Akdar arruolando anche un migliaio di mercenari serbi reduci dalla guerra in Bosnia mentre la polizia ha effettuato numerose azioni di repressione e arresti di massa a Bengasi e Derna dove è stato imposto per lunghi periodi il coprifuoco. Repressioni che hanno indotto molti jihadisti a fuggire all'estero, soprattutto nell'Afghanistan talebano ma anche in altri paesi islamici dai quali sono poi stati in gran parte estradati in Libia e giustiziati. L'intelligence anglo-americano ha confermato che attualmente numerosi miliziani libici combattono con al Qaeda in Afghanistan e con Musayb al Zarqawi in Iraq ma molti altri sono rientrati clandestinamente in Libia per riprendere la lotta. TRE CARTE DEL COLONNELLO Gheddafi sta quindi giocando (come sempre su più tavoli) almeno tre carte per mantenere il potere: aiuti militari ed economici dell'Occidente, apertura ai gruppi islamici moderati come i Fratelli Musulmani (sull'onda di quanto fatto da Hosni Mubarak in Egitto) e rilancio dei temi nazionalistici per tenere unito il paese. Proprio quest'ultimo punto sembra destinato a creare non poche difficoltà nei rapporti con l'Italia.