L'intervista - Leone Massa, pres. consorzio di imprese creditrici della Libia: “Non date più retta a Gheddafi, fate la figura degli sprovveduti”

di Francesco Vizzani

Del 22 marzo 2006 da L' Opinione

Abbiamo voluto sentire l’opinione di Leona Massa, il Presidente dell’AIRIL, l’Associazione che difende i diritti delle imprese italiane creditrici della Libia, sulle dichiarazioni del Colonnello Gheddafi, intervistato dalla giornalista D’Amico di Sky e mandata in onda da Sky Tg24 ieri alle 16,35 e replicato alle 21,35. Presidente, ha visto l’intervista della D’Amico a Gheddafi? Cosa ne pensa? Ho apprezzato la professionalità di una giornalista che non conoscevo, la sua educazione nel porre le domande anche scabrose al leader libico, e la determinazione garbata nell’affrontare i temi più scottanti dei rapporti italo-libici. Le risposte di Gheddafi me le aspettavo e per me non sono una novità. E’ la solita solfa a cui siamo abituati. Con una sola differenza e cioè che i governi che si sono succeduti in Italia non hanno mai capito il personaggio Gheddafi, facendo a gara a chi, ai nostri occhi, sembrasse più sprovveduto. Entrando nel merito delle risposte date da Gheddafi, cosa pensa degli accordi sottoscritti da Berlusconi e la controparte libica, che, secondo lo stesso leader libico non sono stati rispettati in quanto non si sono trasformati in atti concreti per l’inadempienza del governo Berlusconi? Se fossi Berlusconi toglierei la segretazione sull’accordo del 28 ottobre 2002 e sbugiarderei Gheddafi. Con questo provvedimento sapremmo chi veramente non tiene fede agli accordi. La cosa certa è che la data del 31 marzo 2003 per il pagamento dei crediti alle imprese italiane è stato disatteso da parte libica. E’ incontestabile anche l’atteggiamento successivo e poco rispettoso del diritto, avuto dai responsabili di quel Paese, nel proporre la chiusura del contenzioso con le imprese, offrendo una cifra forfetaria irrisoria rispetto anche alle sentenze delle stesse Corti libiche. Ha notato una disparità di giudizio su Berlusconi e Prodi nelle dichiarazioni? Certamente sì, cosa di cui non hanno fatto cenno le agenzie di stampa. Ecco perché la mia esperienza mi ha indotto a procrastinare l’intervista. Anche lei, se avrà visto ed ascoltato Gheddafi stasera, il giudizio su Berlusconi e Prodi è stato: sono entrambi buoni amici. Avrà notato, però, che ha trovato lo spunto, successivamente, per dire che “Berlusconi è bravo a dire barzellette”. Le sembra che sia una parità di giudizio oppure vuol dire parteggiare per l’altra parte politica? A mio giudizio, se Berlusconi avesse agito preferenzialmente così col leader libico, non avrebbe fatto male, perché prenderlo sul serio è da imbelli. Cosa ne pensa sulle possibilità di nuove sommosse come quelle di Bengasi e di eventuali atti terroristici in Italia se l’Italia non realizzasse l’autostrada? Mi sembra una dichiarazione di guerra. A noi che viviamo al Sud ci ricordano gli anni ‘70 ed ‘80 quando la camorra o la mafia faceva arrivare messaggi con richiesta di pagamenti immediati agli imprenditori, con minaccia di far saltare in aria i loro stabilimenti. Oppure ricorda Lei gli espropri proletari? Ebbene, che differenza c’è tra le minacce di Gheddafi e gli atti di quegli anni? Il comportamento non solo dell’attuale Governo, ma anche di quello che gli succederà e di tutti i politici, di qualsiasi partito essi siano, in presenza di tali minacce deve essere fermo ed esplicito. Qui si tratta della integrità della comunità nazionale e non ci devono essere remore da mollettoni. Questo è il momento di constatare, da parte dell’opinione pubblica italiana, se la magistratura è realmente indipendente. Perché dice questo? Che c’entra la magistratura italiana con le dichiarazioni di Gheddafi? C’entra e come. Vorrei vedere se, dopo le dichiarazioni di Gheddafi, qualche politico, per ragioni elettoralistiche o per motivi nascosti di interessi, poco puliti e molto più gravi, giustificasse l’atteggiamento del leader libico nei confronti del nostro Paese e come si comporterebbe, in questo caso, la magistratura italiana. Mi aspetterei da questa un’iscrizione di questi elementi all’albo degli indagati con l’accusa di “concorso esterno in attività terroristiche o mafiose”, fossero essi di destra, di sinistra, di centro, estremisti o altro. Circa Gheddafi, come ho scritto in un articolo dopo i fatti di Bengasi, pubblicato dal vostro quotidiano, con le sue minacce, ribadite stasera grazie all’astuzia della D’Amico, ha preso su di sé tutta la responsabilità del popolo libico per quanto potrebbe accadere in futuro, sia in Libia sia in Italia contro la nostra comunità. Ha notato qualche altro passaggio dell’intervista interessante o da rilevare? Certamente, e credo sia stato rilevato da qualsiasi attento ascoltatore, ma che non leggerò in alcun articolo pubblicato sull’argomento. Ad una domanda della intelligente intervistatrice quale quella se un risarcimento materiale possa estinguere un sentimento di odio, Gheddafi risponde che l’Italia deve (e qui è il bello! prima la vil moneta e poi i sentimenti), dopo l’atto materiale, far sapere che fine hanno fatto i deportati libici del 1911, i loro figli e i loro nipoti. Se le verità storiche non fossero tenute nascoste per opportunità politiche, gli avrei risposto: “Colonnello, questo me lo deve dire lei perché ho le foto delle navi che sbarcavano a Tripoli nel marzo del 1912 quei deportati, in osservanza di un decreto di grazia emanato dal Governo italiano a gennaio di quell’anno”. Che consiglio darebbe al leader libico? Certamente di essere più saggio e non fomentare l’odio di un popolo verso un altro, come fecero i più detestabili dittatori del secolo scorso che portarono alla guerra mondiale, alla guerra fredda e quant’altro con incommensurabili danni per la povera gente. La Storia deve pur insegnarci qualcosa e l’esperienza di certi avvenimenti indurci ad agire per il bene comune e la fratellanza nell’interesse delle future generazioni dei due Paesi. Un atteggiamento diverso lo metterebbe alla stessa stregua di coloro che lui oggi critica. E ai nostri politici? Di stare ben attenti a quello che dicono e fanno. Lo scenario internazionale non è dei migliori. Chi profitta di certe opportunità per farsi bello e appoggiare certe tesi, se non dalla magistratura ma dall’opinione pubblica, sarebbe condannato per alto tradimento nei confronti del popolo italiano. In ultimo, cosa si aspettano le aziende creditrici della Libia, ostaggio da decenni di quel Paese, dal nostro attuale Governo o da quello che gli succederà? In occasione dell’assemblea dell’AIRIL, tenuta a Sorrento il 18 marzo scorso, nella qualità di Presidente, ho firmato un atto stragiudiziale inibitorio che verrà notificato dal nostro legale all’attuale responsabile del Governo (e che varrà anche per quello che gli succederà) col quale si invita a non elargire un centesimo di euro alla Libia, prima che non siano stati soddisfatti e per intero i diritti delle imprese italiane. Per come sono stati gestiti i rapporti fra i due Paesi in questi decenni (sempre a sfavore dei cittadini italiani, dalle confische del 1970 ai giorni nostri) lo Stato italiano è responsabile di tutti i danni che i propri cittadini hanno subito. Questo è il motivo per il quale le aziende associate all’AIRIL hanno adito le Corti nazionali ed internazionali.

 

 

 

 

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