L'intervista / L’associazione Italo-libica vuole amicizia con Gheddafi

di Ruggiero Capone

Del 24 marzo 2006 da L' Opinione

Lo scorso 22 marzo il governo di Tripoli ha deciso di indennizzare i cittadini libici danneggiati dalle nazionalizzazioni, che furono avviate agli inizi degli anni Settanta. “Il governo ha approvato un decreto che sarà esecutivo nei prossimi giorni”, ha reso noto la Fondazione Gheddafi, presieduta da Saif al-Islam, figlio del leader libico. Un’iniziativa, sottolineano fonti diplomatiche, mirata a incoraggiare il ritorno di quei libici fuggiti poco dopo il sanguinoso colpo di Stato, con cui 37 anni fa Gheddafi rovesciò la monarchia. Ma rientra anche nella sterzata verso quello che Gheddafi ha definito un “capitalismo di massa”, dopo decenni di economia pianificata. Stando alla Fondazione, sono almeno quattrocento i casi di esproprio interessati dal provvedimento, e gli indennizzi saranno stabiliti ai valori correnti. L’opinione ha per l’occasione intervistato Raffaello Fellah, ebreo libico venuto a Roma ai tempi della rivolta capeggiata da Gheddafi, oggi promotore dell’associazione ebrei libici.

Come nasce la comunità ebraica romana della Libia?

L’associazione unitaria delle comunità ebraiche di Libia è nata a Roma nel 2004. Ma la comunità ebraica di Libia è la più antica al mondo. Testimonianze sulla presenza della comunità ebraica in Libia si trovano sia in Erodoto che in Strabone: alcuni le fanno risalire indietro nel tempo, a seguito della distruzione del primo Tempio di Gerusalemme. Ma le prime notizie attendibili attestanti la presenza ebraica in Libia, più precisamente in Tripolitania, risalgono al periodo cartaginese e, da fonti ancora più ricche, al periodo romano, testimonianze che fanno precedere la presenza ebraica di molti secoli rispetto a quella araba. La distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme, da parte dei romani, fece sì che si creassero nuovi insediamenti in Tripolitania e Cirenaica, altra regione della Libia dove vi era una forte comunità ebraica. Proprio dalla città di Cirene scoppiò la rivolta ebraica contro Traiano, estesasi poi in altre parti dell’Impero. La repressione romana alla rivolta ebraica fu durissima. Ormai in decadenza gli ebrei di Cirenaica furono costretti alla fuga, trovando rifugio presso le tribù berbere della Sirte, in Tripolitania, Tunisia, Algeria e Marocco. Ma da quella comunità, in pieno Impero romano, nacque la comunità ebraica di Roma, che ancora oggi ha delle tradizioni innegabilmente cirenaiche.

E poi a perseguitarvi è stato Gheddafi, che oggi invece parla d’indennizzi?

Dire con più precisione che siamo stati vittime dei moti antiebraici del 5 giugno 1967. A Bengasi, quella drammatica mattina, tutti gli ebrei presenti in Cirenaica (circa duecento, superstiti di una fiorente comunità che contava oltre 3 mila persone) venivano rastrellati e rinchiusi in un campo dal quale, una notte di fine giugno di quello stesso anno, venivano direttamente trasferiti in Italia su aerei appositamente noleggiati, sembra dallo stesso Re Idris di Libia. Nessuno ha più potuto rivedere la propria abitazione o la sede delle proprie attività, né recuperare qualcosa dei depositi bancari o della documentazione relativa ai beni che, più o meno, tutti erano stati costretti ad abbandonare. A Tripoli la situazione era stata ancora più tragica, oltre venti persone venivano massacrate nella totale indifferenza della polizia e delle autorità politiche. Contemporaneamente venivano saccheggiati i negozi, gli uffici, le sinagoghe, le abitazioni e persino il cimitero. Il giorno dopo la polizia trasferiva in un campo improvvisato alla periferia le famiglie dislocate nei quartieri di popolazione a maggioranza araba; consigliando agli altri abitanti sparsi in diversi quartieri di restare in casa. Iniziava una capillare opera per convincere la popolazione ebraica ad abbandonare il Paese per il tempo necessario a ripristinare l’ordine.

Ed oggi?

Gheddafi non poteva frenare le rivolte anti-ebraiche a seguito della “guerra dei sei giorni” tra Egitto ed Israele, in cui gli arabi tifavano per l’Egitto. Quindi congelò con le nazionalizzazioni i patrimoni degli ebrei di Libia, che oggi vuole indennizzare con valuta corrente. Gheddafi usa sempre chiedere indennizzi al suo popolo, per il periodo coloniale italiano, perché il suo regime è nato come reazione politica al non pieno risarcimento che Re Idris aveva ottenuto nel 1955 dall’Italia: circa 5 milioni di lire dell’epoca, quando il bilancio della Libia era già di 3,5 milioni di dollari nel 1950.

A chi sono grati allora gli ebrei di Libia?

Certamente all’Italia e, politicamente, a Giulio Andreotti che ha permesso l’inserimento della comunità nel paese, riconoscendone la mai persa cittadinanza italiana. Del resto ho parlato della mia esperienza nella sua storia degli ebrei di Libia “Ebrei in un paese arabo” di Renzo De Felice (edizioni Il Mulino, 1978): allo storico ed amico scomparso parlai della mia comunità tra fascismo, nazionalismo e sionismo.

E Gheddafi?

Per certi versi è un amico, una persona intelligente, con cui dialogare. Lo incontrai, per la prima volta dopo la mia fuga, nel 1980 e si mostrò aperto ad ogni trattativa. Il fatto che oggi suo figlio Saif al-Islam abbia parlato d’indennizzi equi e per valori correnti testimonia come si possa favorire una forte intesa italo-libica.

Cosa progetta in proposito?

L’8 di aprile prossimo presenteremo l’associazione amici della Libia, la cui presidenza onoraria verrà offerta al senatore Giulio Andreotti: una iniziativa lontana da qualsiasi speculazione politica, tesa all’amicizia duratura tra ebrei, cristiani e musulmani di Libia. E voglio ricordare che il primo sindaco di Tripoli è stato un ebreo, Mordechai Arkin: era stato ufficiale dell’ottava armata del generale Montgomery, e nel suo consiglio comunale sedevano da amici ebrei, cristiani e musulmani. Dopo di Arkin un altro ebreo, Ruben Assan, è stato sindaco di Tripoli e con lui in consiglio l’italiano Marchino ed il principe arabo Tahl Karamalli. Erano tutti amici, si stimavano e s’aiutavano.

Quindi cosa propone?

Rinnovare il ruolo mediatorio della comunità ebraica tripolina. Rammento che fummo noi a mediare tra Italia e Libia già nel 1922, quando avvenne la rivolta dei Senussi. Oggi noi vogliamo la pace con Gheddafi. E per questo rammento che già durante l’ultimo incontro che il leader libico ebbe con il senatore Andreotti, il rais espresse parole d’amicizia verso l’Italia e, ben 8 anni fa, denunciò Bin Laden come pericoloso guerrafondaio. Gheddafi mise alla porta Bin Laden che si permise di parlare di conquista del mondo, di ritorno d’una potenza araba dalla Sicilia alla Spagna fino alle porte di Vienna. Gheddafi, sotto sanzioni internazionali, cacciava Bin Laden.

Ed ai politici non vuole proprio dire nulla?

Solo che non si può giocare a fare i mercanti con una personalità di profonda cultura araba come Gheddafi: gli arabi al pari degli ebrei sanno pazientare e trasformate gli affari sempre a proprio favore. L’Italia non può mercanteggiare sulla storia dell’autostrada da costruire in Libia o su un altro risarcimento coloniale da riconoscere ai libici: deve cercare di trasformare queste richieste in opportunità di scambio reciproco, senza gridare alla stampa che si tratta d’un ricatto di Gheddafi. Perché non è un ricatto, ma un modo arabo per dire trattiamo, quindi allacciamo nuovi rapporti. L’Italia deve investire in rapporti italo-libici, l’autostrada può permettere la nascita d’aziende a capitale misto nel settore turistico: la Libia ha coste ineguagliabili nel Mediterraneo. L’8 di aprile parleremo anche di come la comunità libica chiede di migliorare questi rapporti. E se ancora abbiamo fiducia nella pace tra le due sponde lo dobbiamo a Giulio Andreotti, che non ha mai cessato di credere nella comunità del Mediterraneo: per il bene dell’Europa e per la necessaria crescita in simbiosi dell’Africa.

 

 

 

 

 

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