Quando Craxi salvò Gheddafi
di Gerardo PelosiDel 13 aprile 2006 da Il Sole 24 Ore
È una storia di venti anni fa. Di quando l'Italia svolgeva un ruolo di coraggiosa leadership nel Mediterraneo, di quando eravamo l'unico Paese europeo a credere nella possibilità concreta di "sdoganare" Arafat e restituirgli quella credibilità internazionale necessaria per aprire la fase del negoziato con Israele. E anche di quando un premier italiano, Bettino Craxi, si trovò costretto a difendere la sovranità nazionale nei confronti degli americani che pensavano di muoversi sui nostri cieli e nei nostri mari come nel "cortile di casa loro". È la storia di come l'Italia, nell'aprile dell'86, esattamente venti anni fa domani, salvò il colonnello Muammar Gheddafi, leader della Jamahiriya libica da morte sicura sotto il bombardamento dei caccia Usa andati a colpire, con un'operazione "mirata", la caserma Bab al Azizya alle porte di Tripoli dove il colonnello viveva e ancora risiede quando non si trova a Sirte. Ma anche di come, dopo i due missili Scud lanciati dall'aviazione libica al largo di Lampedusa, lo stesso Craxi ordinò, qualora vi fossero stati indizi seri di un'altra azione ostile, "disco verde" per un attacco preventivo contro il colonnello incluso lo sbarco degli incursori di Marina sulle coste libiche. A gettare nuova luce su una ricostruzione che solo di recente è stato possibile completare incrociando varie fonti e sulla scia di recenti dichiarazioni dello stesso figlio di Craxi, Bobo, è Antonio Badini, attuale ambasciatore al Cairo e per molti anni alla guida della direzione Mediterraneo e Medio Oriente della Farnesina, ma soprattutto, in quell'aprile 1986, consigliere diplomatico di Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Il 25 marzo di quell'anno, il giorno successivo agli scontri aerei tra Usa e Libia nella Sirte, Craxi alla Camera rilevò che le basi Nato non potevano «costituire punto di partenza per operazioni belliche fuori dell'ambito atlantico». Ma tre settimane dopo il clima era ancora incandescente. Venne a Roma l'inviato di Ronald Reagan, Vernon Walters insieme all'ambasciatore americano in Italia Maxwell Rabb. Obiettivo: sondare la disponibilità dell'Italia a concedere i permessi di sorvolo per i caccia Usa senza dare troppe informazioni su modalità e tempi dell'attacco. «Fui presente — ricorda Badini — a quell'incontro con Vernon Walters, la sera del 14 aprile '86, in cui si ventilò la possibilità di un attacco contro Gheddafi; noi sconsigliammo l'operazione, ma la verità storica è che lo tempestammo di domande, ovviamente sui tempi dell'eventuale azione. Lui rispose dicendo che non era informato o non era abilitato a riferire di più». Ebbene — ricostruisce l'ambasciatore Badini — «fu proprio in quel momento, di fronte alle reticenza di Walters, che Craxi intuì che la decisione era stata già presa, che era irrevocabile e che era solo questione di ore». Si tenne subito dopo, a Palazzo Chigi, un consiglio con i massimi responsabili della sicurezza, primo fra tutti il direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini. Alla conclusione del consiglio, Craxi si appartò con Martini e in poche battute disse all'ammiraglio: «Bisogna trovare il modo di fargli sapere (a Gheddafi) che stanno venendo a prenderlo». «Non ero presente fisicamente al colloquio con Martini — precisa oggi Badini — ma il senso di quello che si stavano dicendo era chiaro a tutti». Martini uscì da Palazzo Chigi e attivò i suoi canali. L'informazione raggiunse chi di dovere a Tripoli ma ci mise un po' per arrivare al "leader". Alle 2,27 della notte, ora italiana, Gheddafi ebbe solo il tempo di allontanarsi rapidamente dalla caserma Bab al Azizya prima che scoppiasse l'inferno e che fossero rasi al suolo con missili lanciati dai caccia americani vari edifici del complesso sotto le cui macerie trovò la morte una figlia adottiva del colonnello, di 15 mesi. Quelle macerie sono ancora lì, macabro "museo" dove il colonnello costringe i suoi ospiti a fermarsi in raccoglimento e firmare il "guest's book". Ma allora, se le cose stanno così, come si spiegano i due missili Scud libici di fabbricazione sovietica giunti a Lampedusa la mattina dopo come reazione al bombardamento? «Fu solo un'azione dimostrativa — spiega Badini — che non aveva l'Italia come obiettivo bensì gli Stati Uniti». Tuttavia, Craxi non la prese affatto bene e, d'intesa con l'allora ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, diede ordine allo Stato maggiore della Difesa di pianificare una forte risposta militare contro Gheddafi, che prevedeva anche lo sbarco dei nostri incursori sulle coste libiche. «Craxi, sempre usando canali non ufficiali — aggiunge Badini — fece sapere a Gheddafi che sarebbero bastate fondate informazioni o serie avvisaglie sull'intenzione libica di lanciare un nuovo missile per far scattare il piano italiano». Il Medio Oriente di quegli anni era una polveriera, ma l'Italia non smarrì mai, ricorda Badini, l'orizzonte finale. «Craxi fece di tutto per favorire il riconoscimento di Arafat da parte di Israele e Stati Uniti e propiziare così l'avvio del negoziato di pace. L'azione dell'Achille Lauro e di Sigonella altro non furono che tentativi, di sabotare Arafat all'interno dell'Olp». Ma quella di Sigonella è un'altra storia in gran parte già tutta scritta. Il passato e il «gesto significativo» Forse si è trattato solo di una coincidenza. Ma la presenza del tutto informale, pochi giorni fa a Roma, del ministro degli Esteri di Gheddafi, Abd Al-Rahman Shalgam, è stata, subito collegata alle ultime dichiarazioni del "leader" libico e del premier italiano, Silvio Berlusconi. Gheddafi, dopo l'assalto al consolato italiano di Bengasi del 17 febbraio, ha minacciato altri episodi del genere a meno che l'Italia non tenga fede agli impegni presi per chiudere il passato coloniale con un "gesto significativo". Il premier Silvio Berlusconi, prima delle elezioni, si è impegnato ad avviare la costruzione della litoranea da 1.700 km dalla frontiera con la Tunisia a quella con l'Egitto. Un'opera faraonica il cui costo oscillerebbe tra 3 e 6 miliardi di euro. La presenza di Shalgam a Roma sarebbe stata motivata, oltre che dalla necessità di cure mediche, anche dalla volontà del capo della diplomazia libica di sondare il centro-sinistra per capire se anche la nuova maggioranza intenderà rispettare gli impegni presi. Ad ogni buon conto la combattiva presidente dell'associazione degli italiani residenti in Libia, Giovanna Ortu, ha già diretto al leader dell'Unione Romano Prodi una vera "diffida": prima di versare un solo centesimo a Gheddafi, dice la Ortu, gli italiani espulsi dalla Libia dovranno essere indennizzati.