DOPO L’ULTIMA TRAGEDIA MERCOLEDI’ VERTICE ALLA FARNESINA SUL CONTROLLO DEI MARI
di Guido RuotoloDel 31 luglio 2006 da La Stampa
ROMA. Il leader libico Muammar Gheddafi in autunno potrebbe arrivare in Italia. A questo stanno lavorando le due diplomazie come approdo della nuova strategia messa in campo da Prodi, D’Alema e Amato, utile anche a gestire la patata bollente dei flussi migratori. Al termine del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, il responsabile del Viminale, Giuliano Amato, ha annunciato per mercoledì prossimo un vertice alla Farnesina tra Italia e Libia. E ha spiegato che al centro dell’incontro ci sarebbe stato la verifica dei rapporti economici tra Tripoli e Roma: in discussione lo sblocco dell’opera riparatrice (l’autostrada costiera), per chiudere i conti con il passato coloniale italiano, e la preparazione del vertice di agosto tra Italia, Libia e Malta sul tema dell’immigrazione, nella prospettiva della Conferenza congiunta Unione Europea e Unione Africana che si dovrebbe svolgere a Tripoli, all’inizio del prossimo anno, con la presenza dei leader di Stato e di governo dei paesi partecipanti. Singolare, potrebbe apparire, l’annuncio da parte del ministro dell’Interno di un vertice che si svolgerà al ministero degli Esteri. In realtà, quello di Amato sembra essere stato un passaggio di testimone, la conferma notarile che le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono tornate ad essere «normali». Perché, fino a giugno, i rapporti tra Gheddafi e il governo Berlusconi sono passati solo attraverso il ministro dell’Interno, Beppe Pisanu. Avendo, la Libia, ritirato il suo ambasciatore in segno di protesta per le promesse non mantenute. All’indomani della vittoria dell’Ulivo, il leader libico ha chiamato il presidente Prodi e il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema (ma ha sentito anche Silvio Berlusconi). In segno di fiducia nelle nuove e più profonde relazioni, Tripoli ha nominato il nuovo ambasciatore a Roma, Hafed Gaddur. Il ministro Amato è ben consapevole che la prospettiva di una nuova fase positiva di rapporti (economici e politici) con la Libia è destinata a incidere anche sulla partita del governo dei flussi migratori, e più in generale sulla strategia globale del governo in tema di immigrazione (venerdì, in Consiglio dei ministri dovrebbe presentare il disegno di legge sulla cittadinanza per gli stranieri che vivono in Italia da cinque anni). Amato pensa al coinvolgimento pieno della Ue, attraverso l’Agenzia delle frontiere - un accordo operativo è stato già raggiunto con la Spagna -, per contrastare i trafficanti di merce umana. Ma anche per aprire un confronto propositivo con i paesi d’origine e di transito di questi flussi (Egitto, Sudan Corno d’Africa, Libia), investendo risorse. Sapendo, Amato, che ha come suoi convinti alleati il commissario Ue Frattini e i paesi europei rivieraschi (compresa la Francia), ma che vanno ancora convinti i «freddi» paesi del Nord Europa. Ieri, il ministro dell’Interno maltese, Toni Borg, ha ribadito la necessità di coinvolgere la Libia nei pattugliamenti congiunti dei confini marittimi. L’ennesima tragedia nelle loro acque territoriali (17 morti) sollecita iniziative stringenti. Anche perché la situazione è sempre critica: «Ormai la traversata del Mediterraneo - ha commentato Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - si è trasformata in una vera e propria roulette russa». Quello dei pattugliamenti congiunti è un tema molto delicato. L’Italia, in passato, ha provato a ragionare con Tripoli sulla necessità di questi pattugliamenti comuni lungo i confini marittimi e terrestri, ma i libici hanno sempre nicchiato. Dalla Farnesina arrivano segnali «ottimistici» sulle potenzialità e sulle novità nei rapporti tra Roma e Tripoli. Che per sbloccarsi hanno bisogno di chiudere il «contenzioso» con il passato. Gli sherpa dei due Paesi sono già al lavoro. Sia Prodi che D’Alema hanno riconfermato al leader Gheddafi la volontà di trovare l’intesa, «sbilanciandosi» nel rassicurare Tripoli che l’opera riparatrice si farà. I suoi costi potranno essere compensati dallo sviluppo delle potenzialità economiche per le aziende italiane che operano in Libia: in cantiere ci sono programmi di investimenti per l’Enel, l’Eni, le Ferrovie dello Stato, Finmeccanica. Tripoli non ha mai fatto mistero che «le società italiane» potrebbero avere una corsia privilegiata nell’aggiudicazione degli appalti.