Giuseppe Pisanu rivendica i buoni rapporti con il Colonnello

Del 24 agosto 2006 da Panorama

Il colonnello Gheddafi si è sempre comportato lealmente con l'Italia, l'unico paese ad aver risposto concretamente alle sue richieste di aiuto per fronteggiare l'emergenza immigrazione. Mentre dalle coste libiche arrivano barche di immigrati sulle nostre coste, il senatore Giuseppe Pisanu, FI, che fu ministro dell'Interno del governo Berlusconi, in questa intervista attacca senza citarli alcuni ministri del governo Prodi (come Paolo Ferrero, Rifondazione, e Alessandro Bianchi, Pdci) le cui posizioni «incoraggiano l'immigrazione clandestina». E mentre tutti i paesi adottano norme selettive quello italiano «sembra voler fare il contrario» abolendo di fatto i respingimenti. L'invasione di immigrati riapre il capitolo Libia. Nelle trattative che lei, da ministro dell'Interno, ebbe con Gheddafi si raggiunsero dei punti fermi. Di che cosa si trattava? A monte dei nostri rapporti con il colonnello Gheddafi c'è un'ampia intesa italo-libica stabilita a suo tempo dal ministro degli Esteri Lamberto Dini. In quel contesto noi abbiamo inserito un accordo operativo per la lotta all'immigrazione clandestina e alle organizzazioni criminali che la sfruttano. Questo comportava impegni di assistenza tecnica, che abbiamo sempre rispettato, per il controllo delle frontiere, la creazione di tre centri di permanenza temporanea per clandestini e la formazione della polizia. Il governo Prodi vuole rispettare quegli accordi? In marzo Francesco Rutelli disse che, in caso di governo del centrosinistra, i progetti di cooperazione si sarebbero concretizzati. Se Rutelli si riferiva al famoso «grande gesto», cioè all'atto riparatorio che dovrebbe chiudere definitivamente il capitolo del colonialismo, ricordo che sul finire della scorsa legislatura il governo Berlusconi adottò un'apposita delibera. In essa si dichiarava la disponibilità a concordare un adeguato gesto di riparazione e a risolvere tutto il contenzioso, anche quello di parte italiana. Non si stabilivano però impegni su progetti precisi. Comunque, in questi anni abbiamo contribuito ad attivare forme diverse di cooperazione tra Italia e Libia. Che ricordi ha degli incontri con Gheddafi? È un interlocutore affidabile? Ho ricordi positivi, specialmente delle lunghe discussioni sul dialogo inter-religioso, sugli sviluppi dei rapporti italo-libici e della cooperazione euro-africana. Con noi si è sempre comportato lealmente, anche in situazioni complesse e delicate. Presta grandissima attenzione al Mediterraneo, convinto che lì si decidano le sorti della pace. E gli piacque molto una frase di Giorgio La Pira, che considerava le tre grandi religioni monoteistiche come i tre rami della famiglia di Abramo, che bisogna ricomporre per costruire la pace. L'afflusso di immigrati è una forma di pressione da parte del colonnello o la prova che non riesce a controllare pienamente il suo territorio? Lasciamo stare le congetture. La Libia ha 4.500 km di frontiere desertiche molto difficili da controllare, sulle quali premono migliaia di disperati provenienti da ogni parte dell'Africa e del vicino Oriente. Il governo libico è consapevole di questa difficoltà e poiché quei flussi sono diretti in Europa, ha chiesto dignitosamente gli aiuti necessari. Finora solo l'Italia ha risposto concretamente. Uno dei figli di Gheddafi, Seif, ha parlato di mancanza di democrazia nel suo paese. C'è chi dice che il padre fosse d'accordo sull'esternazione, per lanciare un segnale alla nomenklatura. Seif è un innovatore e si batte da tempo per modernizzare il suo Paese. Sicuramente non parla a caso e comunque è fedele agli insegnamenti del padre. In aprile l'Ue decise un piano comune per controllare i confini. Ne vede i frutti? L'allarme di Zapatero costringerà i paesi europei a nuove iniziative? La responsabilità dei confini nazionali, anche quando coincidono con le frontiere esterne dell'Europa, è affidata ai singoli paesi. Va anche detto che l'Ue non dispone di strumenti e mezzi finanziari adeguati per fronteggiare un fenomeno così vasto. Certamente l'iniziativa italo-spagnola e il grande impegno di Franco Frattini saranno utili, ma senza farci illusioni. Il governo non rispedisce indietro i clandestini di cui si individua la provenienza. Siamo già oltre il livello di guardia? È evidente che siamo in grave difficoltà. Il governo Berlusconi aveva ottenuto buoni risultati anche con i respingimenti individuali alla frontiera verso il paese di origine o quello di ultima provenienza. Oltre a ristabilire la legalità, quelle misure avevano un forte effetto dissuasivo. Abolirle o soltanto ridurle è un errore grave, del quale continueremo a pagare le conseguenze. Lei si è detto d'accordo nel migliorare la legge Bossi-Fini, ma è perplesso sulla reintroduzione della figura dello sponsor. Quali modifiche servirebbero? Nulla vieta di fare il tagliando alla Bossi-Fini, ma solo per adeguarla alla evoluzione dei fenomeni migratori e senza modificarne l'impianto. Oggi tutti i paesi europei stanno adottando norme restrittive e selettive, mentre questo governo sembra voler fare il contrario. Alcuni ministri, poi, hanno posizioni che incoraggiano l'immigrazione clandestina e, di riflesso, turbano quella regolare. C'è collaborazione tra maggioranza e opposizione? Purtroppo ancora no e temo che con i pregiudizi ideologici della sinistra radicale ci sia ben poco da discutere. I centri di permanenza temporanea vanno migliorati, ma durante il governo del centrodestra non era necessario costruirne di più? E oggi quanti ne occorrerebbero ancora per fare fronte all'emergenza? Ne abbiamo chiuso qualcuno, migliorati molti e ne abbiamo costruiti di nuovi, come quelli di Bari e Gradisca d'Isonzo, aperti prima delle elezioni nonostante l'opposizione delle amministrazioni locali di sinistra e le violente contestazioni di gruppi estremisti. Sono strutture indispensabili per il controllo dei clandestini e perciò occorre costruirne ancora altre, in tutte le regioni italiane.

 

 

 

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