Gheddafi celebra ancora la giornata della vendetta

di Michela Anna Gargiulo

Del 11 ottobre 2006 da L' Opinione

Anche quest’anno si è tenuta di sabato, lo scorso 7 ottobre, l’Assemblea annuale dell’AIRL, l’ Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia, da anni impegnata nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani rimpatriati e spogliati di diritti fondamentali, compreso il diritto alla dignità umana. Il 7 ottobre 1970 è la data della cacciata dei ventimila italiani dalla Libia, nonché, “giornata della vendetta”, voluta da Gheddafi per ribadire i danni causati dall’occupazione coloniale e dalla guerra. Ma quale vendetta? Vendetta verso coloro che hanno costruito strade, ospedali, scuole, ferrovie ed altre opere, come la Balbia che congiungeva Tripoli a Bengasi? La questione, di cruciale importanza, è richiamata dallo slogan dell’assemblea dell’ AIRL, “quale 7 ottobre?”. Il 7 ottobre dell’amicizia, come riuscirono a stabilire nel 2004, dopo anni di trattative, Gheddafi e Berlusconi, o quello della vendetta, ripristinato da Gheddafi nell’anno seguente? Ad aprire i lavori dell’Assemblea annuale dell’AIRL è stata il Presidente Giovanna Ortu , la quale, dopo aver ripercorso lo stato dei rapporti italo-libici, ha sottolineato come la data del 7 ottobre non voglia significare in alcun modo vendetta, bensì, lotta per il ristoro dei diritti dei rimpatriati. Dall’intervento dell’Avvocato Romano emerge che una risposta concreta sul piano degli indennizzi che da anni rivendicano i rimpatriati, potrebbe arrivare soltanto dal ricorso alla giustizia internazionale, avendo la magistratura interna riconosciuto il diritto ad un indennizzo soltanto parziale, stabilito nella misura di 300 miliardi di vecchie lire, corrispondenti ad una sottostima degli indennizzi spettanti. Sugli indennizzi è intervenuto anche il sottosegretario alla presidenza della Camera Leoni, sottolineando la necessità di proporre disegni di legge finalizzati all’ottenimento degli indennizzi, assumendosi, inoltre, l’impegno di svolgere un ruolo di “facilitatore” per reperire risorse necessarie all’ottenimento di risultati concreti. Credo che un significativo contributo alla battaglia portata avanti dai rimpatriati potrebbe arrivare da quanto espresso dall’Onorevole Dato, che si è soffermata sul tema della discriminazione in materia di visti per l’accesso in Libia. L’Onorevole ha dichiarato di essere intenzionata a sposare la causa per l’ottenimento dei visti da parte di tutti gli italiani che hanno vissuto in Libia e non solo di quelli che hanno superato i 65 anni, rimarcando, al contempo, la necessità che di questa vicenda se ne occupi il Governo italiano e non i cittadini. Tra le altre personalità intervenute sui temi cruciali degli indennizzi e dei visti ai rimpatriati, l’Onorevole Forlani – capogruppo UDC nella Commissione Affari Esteri -, il Presidente dell’AIRIL (Associazione Italiana Rapporti Italo -Libici) Leone Massa e l’Ambasciatore Sessa. Proprio l’ambasciatore Sessa, durante il suo intervento, ha voluto ribadire che: “ non vi è stato nessun accordo o documento segreto tra Libia e Italia e che è necessario arrivare ad una normalizzazione dei rapporti con la Libia, ed è in questa logica - ha poi ribadito l’ambasciatore - che i diversi governi e associazioni devono operare”. A conclusione del suo intervento, ha voluto sottolineare ciò che di concreto è stato fatto per la ristrutturazione del cimitero di Hammangi, i cui lavori dovrebbero partire nel Novembre del 2006, anche grazie al supporto del Ministero degli Esteri. Sempre sul punto degli accordi bilateriali, l’avvocato Romano, contraddicendo quanto detto dall’ambasciatore Sessa, ha aggiunto che l’accordo bilaterale del 28 ottobre 2002 sottoscritto da Berlusconi in presenza di Gheddafi, accordo che stabiliva la data limite del pagamento degli indennizzi per il 31 marzo 2003, è stato di fatto segretato. Sul tema degli indennizzi si è pronunciato anche Leone Massa, in rappresentanza delle aziende italiane creditrici del Governo libico, rimarcando che: “I crediti delle imprese italiane, accertati dal MAE, supportati da sentenze delle Corti libiche o con depositi presso banche di quel paese, a distanza di oltre vent'anni sono tuttora in sofferenza e che è giunto il momento che lo stato italiano dimostri che l’Italia è uno stato di diritto”. La tenacia e la perseveranza che dimostrano queste iniziative portate avanti da associazioni di cittadini danneggiati, meriterebbe, senza dubbio, un ruolo notevolmente più attivo del Governo, in quanto, ciò che più di ogni altra cosa colpisce in questa vicenda è la situazione di stallo che dopo ben 36 anni impedisce ancora di dare certezze e risposte concrete.

 

 

 

 

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