Gheddafi punta al rialzo e noi paghiamo

di Giorgio Bastiani

Del 14 novembre 2007 da L' Opinione

Tutte le volte che le acque del Mediterraneo si calmano, dalla Libia partono centinaia di profughi alla volta delle coste italiane. In compenso, sulle coste libiche, non possono sbarcare neppure turisti italiani ed europei dotati di documenti in regola. I due fenomeni sono opposti, ma la causa di entrambi è la stessa: c’è un Gheddafi che vuole alzare il prezzo delle trattative per la “normalizzazione” dei rapporti con l’Italia e con l’Unione Europea. Come è difficile pensare che dalla Libia possano salpare centinaia di profughi ogni settimana spontaneamente e fuori dal controllo della polizia locale, così è altrettanto difficile credere che una nuova regola per i documenti turistici sia stata introdotta dalla burocrazia libica senza che Gheddafi ne fosse al corrente, per di più proprio nei giorni in cui il dittatore libico sta concludendo un’intensa fase di trattative con sia con l’Unione Europea che con l’Italia. Massimo D’Alema aveva appena annunciato di essere “soddisfatto” per i risultati del dialogo con la Libia, perché: “Il negoziato è molto grande e molto complesso e non abbiamo ancora concluso, ma abbiamo raggiunto un’intesa di massima e di principio. Sui principi siamo d’accordo e adesso dobbiamo affrontare questioni di dettaglio”. Saranno pure solo dettagli, ma lunedì scorso i circa 2500 turisti (quasi tutti italiani) che erano a bordo della “Musica” ed erano pronti a sbarcare a Tripoli, tappa della loro crociera, si sono visti negare la possibilità di scendere a terra perché i loro passaporti non erano tradotti in arabo. Il tutto perché, domenica, senza dir niente a nessuno, la Libia ha introdotto questo cavillo nelle sue già complicatissime regole di ingresso. Gheddafi vuole ancora di più? Forse non gli basta scrivere un film anti-italiano, né si accontenta della costruzione di un memoriale per la “memoria condivisa” italo-libica, oppure non ha ottenuto sufficienti garanzie per l’autostrada litoranea che dovrà essere costruita dall’Italia e che costerà ai nostri contribuenti circa 3 miliardi di euro (secondo alcune fonti il progetto complessivo ne costa 6). Forse Gheddafi vuole far capire che non ci pensa neppure a pagare i debiti a 120 aziende italiane che, nel corso dell’ultimo trentennio, chiedono il rimborso di circa 650 milioni di euro. Difficile entrare nella mente di Gheddafi? O nei meandri delle trattative in corso? Non troppo: regolarmente, come per obbedire ad una legge della fisica, Gheddafi compie qualche gesto ostile, a sorpresa, per alzare il prezzo su tutto. Questo suo nuovo ricatto non riguarda solo gli italiani. Ad altri turisti europei è andata anche peggio. Per esempio 83 cittadini francesi sono rimasti bloccati in Libia: avevano un regolare visto turistico, ma le regole sono cambiate il giorno stesso della loro partenza. Il governo francese ha dovuto mandare un Airbus a recuperarli. La stessa cosa è capitata a turisti britannici, austriaci e svizzeri. Per caso questi “incidenti” capitano mentre sono in corso trattative tra la Libia e l’Unione Europea. Dopo che Gheddafi aveva ottenuto un piano di normalizzazione dei rapporti, finanziamenti dall’Europa, tecnologia di sorveglianza per le frontiere, armi e l’inclusione del progetto di cooperazione euro-mediterranea voluto dalla Francia di Sarkozy. Da notare che questi accordi sono stati ottenuti a loro volta in seguito ad un vero e proprio ricatto: la liberazione del gruppo di infermiere bulgare e del medico palestinese arrestati, torturati e condannati a morte, poi estradati in extremis in Bulgaria in cambio di benefici diplomatici.

L’uso del ricatto diplomatico-umanitario è diventata la tattica tipica della Libia. E la credibilità della sua diplomazia dovrebbe essere presa con le molle. Da almeno quattro anni la Libia è entrata nelle grazie della comunità internazionale perché ha fatto un passo indietro sia sul terrorismo che sul suo programma nucleare. Ma occorre anche chiedersi perché: il programma nucleare fu scoperto nel 2003 grazie ad un’operazione di intelligence a cui parteciparono anche i servizi italiani. Essendo lo stesso anno della guerra in Iraq, Gheddafi dovette temere il peggio anche per la sua incolumità. Il dittatore libico fu costretto a smantellare il programma. Ma da quel momento in poi ottenne, nell’ordine: embargo sospeso, ripresa delle relazioni diplomatiche, nuovi investimenti in Libia, aiuti dall’Unione Europea, l’ingresso nella Commissione Onu per i Diritti Umani e persino l’elezione al Consiglio di Sicurezza per i prossimi due anni. La Libia ha aderito formalmente a una serie di protocolli per i diritti umani, ma il 2 novembre scorso, l’Onu ha denunciato il regime libico di ricorrere sistematicamente “all’uso della tortura e a trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti”. Il nostro governo avrà incluso le clausole sui diritti umani nel corso del negoziato “molto grande e molto complesso” con Tripoli? Per quanto riguarda il terrorismo, dal 2001 Gheddafi si presenta come il paladino dell’Arabia laica contro gli integralisti islamici, ma giusto in occasione della crisi seguita alla lezione di storia di Benedetto XVI a Ratisbona, l’anno scorso, suo figlio Mohammed dichiarava, d’accordo col padre: “Se questa persona è realmente sincera, non dovrebbe rimanere al suo posto per un solo minuto e dovrebbe convertirsi immediatamente all’Islam”, poi invitava il popolo a respingere le scuse del pontefice, sostenendo che il buon musulmano “...non deve chiedere l’elemosina all’infedele, ma deve combattere i nemici dell’Islam che attaccano la nostra fede e il Profeta”. In sintesi: dopo il 2003, per Gheddafi è conveniente ricattare e ingannare la comunità internazionale, perché sa che non subirà gravi conseguenze. Questo è il regime con cui D’Alema sta trattando e col quale dichiara di aver raggiunto una buona intesa “di massima e di principio”. Quando l’accordo sarà concluso, quanto dovremo pagare in termini umani, materiali ed economici?

 

 

 

 

 

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