Gheddafi boicotta gli imprenditori italiani
di Paolo della SalaDel 30 marzo 2007 da L' Opinione
L’Italia è un Paese disinformato e politicamente debole… Erano luoghi comuni, oggi sono evidenze quotidiane. La Libia ha chiuso da un mese tutte le sedi diplomatiche in Italia -ufficialmente per “ristrutturazioni”, ufficiosamente per un pressing politico-economico. Rimaste senza “un ponte per Bengasi” le istituzioni italiane sfiorano la narcolessia: la stampa si occupa delle dichiarazioni di Cesa, l’Oltretevere si preoccupa dei Dico, il governo fa il disoccupato.
Fino a che livello si può essere imperturbabili? Giudichi il lettore. La Farnesina ci aveva consigliato di chiedere maggiori lumi a Tripoli, visto che l’ambasciata e i consolati di Roma, Milano e Palermo hanno i telefoni staccati. Lo abbiamo fatto: abbiamo chiamato l’Ufficio ICE di Tripoli chiedendo informazioni su questa interruzione dei rapporti diplomatici tra Roma e la Jamahiria, a causa di improbabili “lavori in corso”.
Il quadro, se possibile, è ancora più sconfortante. Alberto Catarci, direttore dell’ufficio libico dell’Istituto per il Commercio estero, non fa del melodramma, ma espone i fatti. Il prossimo 2 aprile (lunedi) si aprirà la Fiera Internazionale di Tripoli, evento di grande importanza per i due Paesi del Mediterraneo (l’Italia è il primo importatore di prodotti libici, la Libia è il primo importatore di prodotti italiani). Finora i manager, gli allestitori, i tecnici e gli standisti delle 44 aziende che fanno parte dello stand italiano non hanno il visto. Di più, il visto non ce l’ha nemmeno Mauro Agostini, sottosegretario del Ministero per il Commercio estero guidato da Emma Bonino, così nemmeno la delegazione italiana può salire sull’aereo. Oggi è giorno di festa islamico, mentre domani è il Maoled, giorno natale del Profeta. Domenica è giorno festivo in Italia, e lunedi inizia la Fiera Internazionale. Siamo dopo l’ultimo secondo utile. L’Ufficio Ice si è rivolto direttamente all’Ente fiera di Tripoli e ha attivato l’ambasciatore italiano, che ancora ieri ha avuto un infruttuoso incontro col ministro dell’Industria. Lo stesso sta avvenendo a Roma.
Il padiglione italiano è molto bello ed è costato molto denaro –pubblico e privato-. Adesso c’è il rischio che venga inaugurato senza persone.
Perché Tripoli e Roma (che continua fingere un rigor mortis che si spera sia solo burocratico) hanno questo atteggiamento anomalo? Il problema è sempre lo stesso: la richiesta, da parte di Gheddafi, di indennizzi e contributi post-coloniali. Da ciò deriva una continua ed efficace offensiva extra-diplomatica, che va dal rifiuto di pagare i crediti delle aziende italiane, al “laissez-faire” nei confronti dell’immigrazione clandestina. Gheddafi fa gli interessi del suo popolo, se non i suoi personali, ma la nostra opinione pubblica dovrebbe chiedere al governo italiano un qualche cenno di vita. Il parlamento vuole porre termine al contenzioso, ma più tempo passa e più la situazione peggiora, così che anche un sottosegretario per il Commercio estero non riesce a ottenere il visto consolare. Di fronte a un’inefficienza così rocambolesca il senatore Lucio Malan (Forza Italia) sta per rivolgere un’interrogazione parlamentare che darà luogo -si spera- a un dibattito approfondito.
Giova ricordare che il governo Prodi è decisamente arpagone nei confronti della diplomazia. Senza scomodare le recenti bagatelle per un massacro afghane, si deve ricordare che la Farnesina pochi mesi fa raccomandava alle nostre rappresentanze all’estero di dilazionare i pagamenti delle bollette. Mentre gli altri Paesi professionalizzano il lavoro diplomatico legandolo all’export, organizzando eventi, incontri e convegni, nei giorni scorsi una delle nostre ambasciate in Asia ha dovuto dare un ricevimento utilizzando dei bicchieri di plastica.
Alberto Catarci, direttore dell’Ufficio Ice di Tripoli, rimane ottimista, anche perché le aziende italiane stanno lavorando bene: “Spero che gli sforzi per ottenere i visti abbiano esito positivo, come spesso capita in Libia, dove tutto si aggiusta all’ultimo momento”.