ITALIA-LIBIA: IL CONTENZIOSO CONTINUA
Basta elemosinare, vogliamo il rispetto dei diritti,afferma Leone Massa

Del 3 gennaio 2008 da L' Opinione

Dopo il viaggio a Tripoli del Ministro D’Alema del 10 novembre scorso abbiamo letto sui quotidiani più importanti di possibili decisivi accordi raggiunti per chiudere il contenzioso pluriennale esistente fra i due Paesi. Secondo le dichiarazioni del Ministro D’Alema ci sarebbero stati da concordare solo alcuni dettagli fra i quali il pagamento dei crediti delle imprese italiane da parte della Libia, gli indennizzi per i beni confiscati ai ventimila italiani espulsi nel 1970 ed i visti di ingresso in Libia per questi ultimi. Abbiamo, a tal proposito, intervistato il presidente dell’AIRIL, Associazione che sin dalla sua costituzione si batte per il rispetto dei diritti non solo delle imprese italiane ma anche delle migliaia di operai e tecnici che hanno lavorato in quel paese e che attendono di essere pagati. Questi pagamenti furono bloccati sin dal 1980 e per alcuni anche nel 1970 a seguito della richiesta libica dei danni di guerra e del periodo coloniale.

Presidente Massa da quanto tempo le imprese italiane ed i loro tecnici attendono il pagamento dei loro diritti e cosa ha fatto lo stato italiano per tutelarli?

Sin dal 1970 alcune imprese italiane non appartenenti alla comunità italiana residente in Libia si videro confiscati i loro cantieri con le relative attrezzature, senza riuscire a ricevere attraverso la nostra Ambasciata di Tripoli alcuna certificazione attestante la confisca. Successivamente, nel 1980, vi fu la nazionalizzazione di tutte le attività private e il blocco dei trasferimenti di valuta da parte dei vecchi importatori dei beni e servizi. Anche in seguito le imprese italiane che avevano stipulato contratti per lavori o forniture con le compagnie di stato libiche si videro sequestrati i cantieri, confiscate le attrezzature e bloccati i crediti per la richiesta libica dei danni di guerra e del colonialismo già concordati e pagati dall’Italia nel 1956. Questo problema fu affrontato da Andreotti con gli accordi del 1984 e 1985 con la compensazione in petrolio che fallì il suo scopo per il rifiuto libico di rilasciare la certificazione dei crediti per i lavori eseguiti. In tali accordi si prevedeva la costituzione di un fondo presso la Banca Nazionale del Lavoro ed Agip con 300 milioni di dollari semestrali da riservare sui roialty che l’Agip avrebbe pagato alla Libia. A quel tempo si verificò un atteggiamento lesivo per le imprese in quanto dopo alcuni mesi il fondo fu trasferito alla Banca Centrale libica. Nel 1989 fu emesso il famoso decreto Vassalli in base al quale si proibì il sequestro dei beni libici in Italia, dichiarato dopo alcuni anni anticostituzionale. Nel 1998 con l’accordo Dini-Muntasser si dava corso ad un Comitato misto italo-libico per i crediti che avrebbe dovuto portare a soluzione il problema. Anche questo accordo non produsse alcun esito. Il 28 ottobre 2002, e grazie alle pressioni della nostra Associazione, fu siglato un accordo tra Berlusconi e Shamek in cui si prevedevano precisi termini per l’analisi della documentazione creditizia, la sua quantificazione ed il calcolo della rivalutazione monetaria ed interessi nonché la data del 31 marzo 2003 per il pagamento da parte libica dei crediti accertati. La Farnesina si prese carico assieme ad UBAE ed ALI di dare esecuzione a tale accordo ma produsse soltantouna quantificazione dei crediti sulla sola sorta capitale senza tener in alcun conto le sentenze delle corti libiche e senza provvedere alla rivalutazione monetaria ed agli interessi. La cosa più grave fu il 27 marzo 2003, quando, all’insaputa delle associazioni più rappresentative delle imprese creditrici (Confindustria, AIRIL ed ANCE) rilasciò alla delegazione libica una proposta scritta di chiusura forfetaria del contenzioso per 314 milioni di euro, meno del 50% di quanto da essa stessa accertato.

Questa è in breve la storia, seppur dolorosa dei crediti sofferenti, ma quali prospettive si aprono dopo la visita di D’Alema a Tripoli?

Già il 31 ottobre fummo convocati alla Farnesina dal ministro Ragaglini allo scopo di sottoporci una proposta forfetaria libica di 313 milioni di euro. Ancora una volta il Ministero Esteri ha dimostrato di non saper far rispettare il diritto alla controparte libica. Il dovere dello stato, e quindi delle proprie istituzioni, prescritto dalla nostra carta costituzionale è di tutelare, ossia difendere e salvaguardare, il lavoro italiano nel mondo non viene tenuto in alcun conto. Non c’è da meravigliarsi in un’Italia in profondo degrado morale ed istituzionaleche si manifesta quotidianamente agli occhi dei propri concittadini. La proposta libica è stata da noi dichiarata inaccettabile.

Stia ben certo che pur essendo stato il problema crediti degradato a mero dettaglio di un accordo bilaterale, l’azione della nostra associazione sarà ben determinata e decisa a tutti i livelli, non escludendo precise denunce nei confronti di istituzioni e personaggi che vengono meno ai propri doveri.

 

Da quanto ci risulta in Senato sono stati presentati dei disegni di legge per una garanzia sovrana dello stato alle imprese creditrici della Libia. Crede che l’eventuale loro approvazione da parte di Senato e Camera possano dare soluzione al problema?

I disegni di legge presentati, uno dalla maggioranza e due dall’opposizione, hanno visto la firma di tutti gli esponenti dei gruppi parlamentari ed il testo è stato unificato il 4 ottobre scorso presso la VI Commissione finanze e tesoro. L’articolato è molto preciso ed inquadra perfettamente il problema. La garanzia sovrana prevista è stata dettata per non incidere, in un momento difficile, sulle finanze dello Stato e dar tempo cinque anni alla nostra diplomazia ditutelare il lavoro italiano in Libia facendo rispettare i diritti delle imprese italiane. Purtroppo la sensibilità degli estensori dei disegni di legge non è stata compresa dalle nostre istituzioni. Per questo motivo ho inviato telegrammi al Presidente della Repubblica,supremo garante della Costituzione, ed al Presidente del Consiglio senza ricevere alcun riscontro. Nel testo dei telegrammi ho fatto preciso riferimento allo Stato di diritto, al rispetto della Carta Costituzionale, alla giustizia ed alla volontà espressa dall’organo parlamentare, massima espressione di un paese democratico.

 

In definitiva cosa si aspetta dall’attuale Governo?

Già nella passata legislatura molti esponenti dell’attuale maggioranza, come quelli dell’attuale minoranza, presentarono in Parlamento centinaia di interrogazioni, interpellanze, ordini del giorno e mozioni. Oggi hanno presentato precisi disegni di legge bipartisanche sono all’esame della VI Commissione del Senato. Voglio sperare che abbiano la determinazione e la forza di imporre al governo il rispetto del diritto. Un mancato parere favorevole del governo al disegno di legge in esame al Senato significherebbe innanzitutto la mancata capacità del nostro Ministero Esteri di assolvere i propri doveri dettati dalla Costituzione. Certamente le aziende ed i propri dipendenti hanno già atteso lunghi decenni e non è accettabile che si attenda ulteriormente. In altri paesi, vedi Francia, Inghilterra e Germania, questi problemi sono stati risolti da anni con indennizzi e risarcimenti diretti verso le proprie imprese. Qui si tratta di problemi politici e non di rischi di impresa e lo stato se ne deve fare carico. Molte imprese hanno presentato ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo richiedendo la condanna dello Stato italiano al pagamento dei crediti con rivalutazione monetaria, interessi ed al risarcimento dei danni economici ed esistenziali. Dobbiamo attendere la sentenza oppure il governo riconosce in anticipo i suoi doveri?

 

 

 

 

 

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