Intervista a Leone Massa

Del 22 settembre da L' Opinione

Quante sono le aziende creditrici della Libia?

Saranno state centinaia ma, a seguito del protocollo d’intesa tra Dini e Muntasser del 1998, secondo il quale le aziende creditrici avrebbero dovuto inviare la domanda con relativa documentazione al nostro ministero esteri, tale opportunità non fu adeguatamente diffusa per cui il MAE ritenne di informarne solo le maggiori associazioni di categoria. Escludendo tutte le aziende che non ne facevano parte. Nel 1999 l’elenco era di 57 aziende.
Nel 2000 quando riuscii, grazie all’allora presidente di confindustria, Antonio D’amato ed il comune amico dott. Gaetano Cola, attuale presidente della camera di commercio di Napoli a ad invitare le aziende creditrici della Libia ad una riunione presso confindustria il numero salì ad oltre 100. In tale occasione le aziende mi elessero Presidente di un comitato per avere rapporti con le istituzioni italiane e libiche al fine di ottenere il pagamento dei crediti. Per l’espletamento del mio mandato chiesi al MAE  gli indirizzi di ciascuna azienda creditrice, in elenco presso di loro, i relativi importi del credito ed i numeri di telefono per contattarle.
Mi fu rifiutato per ragioni di privacy !!!! Posso concludere che erano alcune centinaia, delle quali molte ormai fallite, altre in via di fallimento e che al momento attuale sono 120.

A quanto ammonta il totale dei crediti?

Bella domanda! La feci al MAE ed ebbi la risposta di non saperlo in quanto i crediti erano espressi in varie valute. Gli risposi che avrebbero potuto riportarle in lire o dollari al tasso di cambio della data dell’insorgenza del credito, ed ebbi per l’ennesima volta una disarmante risposta: questo ministero non è tenuto a farlo. 
Posso soltanto dirle che a seguito dell’accordo Berlusconi-Shamek del 28 ottobre 2002, col quale si prevedeva che l’accertamento dei crediti delle imprese italiane venisse effettuato dall’ ALI ed UBAE (la prima azienda di diritto libico e la seconda di diritto italiano ma con maggioranza del capitale appartenente direttamente o indirettamente alla Libia) portò alla conclusione di due distinti rapporti (uno ALI e l’altro UBAE) il 18 febbraio 2003 disattendendo quanto previsto dall’art. 8 del protocollo d’intesa non tenendo conto neanche nelle sentenze definitive delle stesse Corti libiche che oltre alla sorta capitale riconoscevano alle imprese gli interessi del 5%, a partire dalla data di insorgenza del credito, sino alla data del pagamento.

Dal rapporto UBAE risulta un totale di 642 milioni di euro e riguarda solo la sorta capitale e con un tasso di cambio dalle altre valute, penalizzante per le aziende italiane.

Di che tipo di aziende si tratta?

Di imprese di costruzione edili stradali, di aziende produttrici di varie tecnologie o di specifiche produzioni (da macchinari vari a calzature e vestiario oppure prodotti per l’alimentazione umana ed animale) e ditte di import-export.

Età media degli imprenditori?

Posso solo intuire e riferirmi a quella degli associati AIRIL. Deve pensare che alcuni crediti risalgono al 1970 ed anni successivi. Nella nostra associazione vi sono ultra ottantenni e quarantenni figli di creditori ormai morti.

Motivazione del contenzioso?

Sarebbe troppo lungo spiegarlo in quanto le aziende italiane che sono andate ad investire in Libia non sono mai state informate dalle nostre istituzione dei rischi che correvano, anzi, del contrario. Un esempio?
Solo le aziende italiane erano discriminate rispetto a quelle di altri paesi in quanto soggette ad azioni improvvise ed anche ingiustificate dell’esecutivo libico per cui avrebbero rischiato durante i lavori o le forniture, di vedersi sequestrati i cantieri, annullate le commesse, bloccati i pagamenti e, come avvenuto in molti casi privati delle libertà personali. Tutto ciò senza alcun motivo se non politico. Bastò la richiesta dei danni di guerra e del periodo coloniale per far si che le imprese italiane subissero quanto sopra.

A che punto sono ora i contenziosi?

Premetto che notata l’impossibilità di attivarsi quale comitato di confindustria per contrasti di interesse esistenti nella stessa, dopo che in una riunione del 15 novembre 2000 alcuni imprenditori mi invitarono a costituire un’associazione indipendente che salvaguardasse i diritti delle piccole e medie aziende. Mi dimisi da presidente del comitato ed il 10 gennaio 2000 costituimmo l’AIRIL (Associazione Italiana per i rapporti italo-libici) condizionando l’ingresso a quelle aziende che avessero prodotto la documentazione creditoria dalla quale risultasse il reale ammontare del credito. Furono accettate le domande di partecipazione solo quelle aziende con le carte in regola. Da allora ad oggi solo la nostra associazione è stata capace di portare costantemente all’attenzione dei due governi il problema dei crediti, il rispetto del diritto e dei dettami della nostra Carta Costituzionale che all’art. 35 obbliga lo Stato a tutelare il lavoro italiano nel mondo. Senza la nostra azione l’allora Ministro degli esteri “Renato Ruggiero” non avrebbe dichiarato all’uscita di un colloquio col Colonnello Gheddafi che la questione crediti sarebbe stata prioritaria a qualsiasi altro accordo bilaterale. 
Cosi pure non avreste trovato date precise per la quantificazione dei crediti ne la data per il pagamento degli stessi da parte della Libia entro il 31 marzo 2003, nell’accordo del 28 ottobre 2002. Tale accordo fu segretato inspiegabilmente e disatteso dalla parte libica. Non possiamo giudicare di chi fosse la colpa in quanto successivamente Gheddafi dichiarò che lo stesso non fu rispettato dalla parte del Governo Italiano. 
La nostra associazione è apartitica ed io quale Presidente non ho avuto peli sulla lingua quando ho parlato sia con le massime autorità libiche sia quelle italiane. Certamente ho acquistato la stima delle persone serie che ho contattato, delle altre non so che farmene. Il certo è che dal 2001 ad oggi nei due rami del parlamento vi sono state centinaia di interrogazioni, interpellanze ordini del giorno votati all’unanimità ed attualmente all’esame della VI^ commissione finanze e tesoro, come già avvenuto nella precedente legislatura, disegni di legge bipartizan per una garanzia sovrana dello Stato da concedere dopo l’esame della documentazione creditoria di ciascuna azienda da parte di una commissione paritetica formata da rappresentanti del Ministero dell’Economia, dell’Avvocatura e Ragioneria generale dello Stato da una parte, quelli delle tre maggiori associazioni rappresentative dei creditori dall’altra e presieduta da un alto Magistrato di Cassazione a riposo.
La garanzia sovrana ha una durata di cinque anni per permettere la monetizzazione immediata alle aziende e dar tempo alla nostra diplomazia di far rispettare il diritto dalla controparte libica.

Come mai i vari governi italiani non hanno mai preso posizioni su questo tema?

Sono sicuro che in cuor suo già conosce la risposta, ma io le rispondo ugualmente in maniera esplicita.
In Italia non esiste solo una casta ma varie caste alle quali aggiungerei l’hobby ed altre aggregazioni che condizionano, per i propri interessi, non solo la classe politica ma l’azione del governo. Si è sempre detto che le piccole e medie aziende partendo da quelle artigiane, sono l’asse portante delle nostra economia, ma sono state al “contrario” penalizzate in quanto si è favorito sempre i grandi gruppi industriali e finanziari. Un esempio palese, nei rapporti internazionali, sono i prioritari interessi dell’ENI a quelli di altre aziende. Quest’ente, che ha avuto nel 2007 un’utile di 6,6 miliardi di euro ha condizionato e continua a condizionare anche gli investimenti governativi per le fonti alternative di energia. Non fantapolitica o fantaeconomia se prevedessi un accordo dopo il 2015 tra l’Italia e la Libia per un elettrodotto sottomarino che fornisse energia elettrica libica all’Italia.
Non mi domandi perché.

Ho letto una sua intervista sul Sole 24 ore, dalla quale mi sembra di capire che non vede favorevolmente l’accordo italo-libico firmato da Berlusconi con Gheddafi. Perché non crede che potrà in qualche modo agevolare la chiusura dei contenziosi?

Sino ad oggi non conosciamo gli articoli che compongono il trattato firmato il 29 agosto scorso, ma, dobbiamo riferirci alle dichiarazioni apparse sui giornali, ai commenti di personaggi che come me non conoscono il contenuto e fare illazioni. Io conosco solo l’art.13 che riguarda la questione crediti che è demandata a dei comitati misti italo-libici. Tale decisione sarebbe in linea con i disegni di legge all’esame del Senato se fossero riservate esclusivamente alle due diplomazie. Ho già dichiarato a chi di competenza di non volerne più far parte, lasciando la responsabilità esclusiva al nostro Ministero esteri.
Se l’azione diplomatica si concludesse in maniera sfavorevole rispetto ai diritti delle imprese creditrici della Libia vi sarebbe la responsabilità oggettiva del Ministero esteri e quella personale di chi ha concluso l’accordo.
Il mio scetticismo sul trattato riguardano altre questioni, quali, ad esempio lo sbarco di clandestini a Lampedusa anche dopo il 29 agosto.

Che lei sappia, come si sono comportati gli altri Paesi Europei con imperi coloniali ben più grandi del nostro? Qualcuno di loro ha mai pagato per i danni coloniali?

Per quanto di mia conoscenza e per le reazioni di altri paesi colonialisti al trattato con la Libia devo concludere che sin’ora nessun di essi ha mai risarcito quello colonizzato. Nel mio intervento a Tg economia di SKY da p.zza Plebiscito a Napoli mandato in onda domenica 7 settembre indicai le statue sotto Palazzo Reale di regnanti stranieri che avevano dominato Napoli o il Regno delle due Sicilie, e dissi che quando incominciavamo a stare bene sotto una dominazione ne è venuta un’altra che ci ha depredato dei benefici che avevamo acquisiti dalla precedente, e, sino ad oggi il sud non è stato mai risarcito! 
Volevo aggiungere un verso di una nostra famosa canzone che manifesta la filosofia del nostro popolo: “Chi a avut a avut a avut, chi a rat a rat a rat, scurdammece ‘o passat, simm ‘e napul, paisà”.
Alla domanda finale del conduttore sul trattato, risposi con un altro detto napoletano: “Chiacchiere e tabbacchere e lignamme o banc e napule non impegna” . Il significato italiano lo capirà, in quanto la nostra lingua è internazionale.
So soltanto che altre nazioni hanno agito differentemente dal nostro non lasciando una questione aperta per 39 anni ma indennizzando i propri cittadini immediatamente, rivalendosi con altri mezzi sui paesi debitori, fossero essi anche fornitori di petrolio.

Un esempio mi è dato da una lettera scritta da un mio associato che subì l’onta del carcere in Libia per ben 3 anni e mezzo e fu scambiato con un terrorista libico. Egli scrisse al Presidente degli Stati Uniti e ricevette una risposta dal D.S. con la quale gli si diceva che, se fosse stato cittadino americano, sarebbe già stato indennizzato al suo rientro negli Stati Uniti.

 

 

 

 

 

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