Dialogo italo-libico continuiamo a farci male

di Stefano Magni

Del 23 maggio 2008 da L' Opinione

“Un interlocutore essenziale”: per l’Italia questa è la Libia. Insomma, cambia il mondo, cambiano i governi, ma i rapporti italo-libici sembrano destinati a rimanere sempre gli stessi. Finora lo schema è sempre stato questo: Muhammar Gheddafi coglie un pretesto per alzare i toni, il governo italiano risponde con diplomazia, il dittatore libico “disinnesca” la crisi e subito dopo ottiene da Roma la promessa per la costruzione della nuova autostrada litoranea (2000 Km di percorso, 3,5 miliardi di euro di costo previsto) come “compenso per i danni del colonialismo italiano”. L’ultima giustificazione adottata da Gheddafi per rilanciare il suo ricatto è stata la nomina a ministro di Roberto Calderoli, reo di aver esibito in televisione, due anni fa, una maglietta che riproduceva la nota vignetta su Maometto. Che sia una scusa qualsiasi è chiaro a tutti. Il dittatore libico non può certo presentarsi come paladino dell’Islam: proprio ieri ha proibito alle ragazze del suo popolo di indossare il velo nelle università, un provvedimento che urta la sensibilità religiosa dei musulmani molto di più di una semplice maglietta indossata da un ministro straniero.

Calderoli ha dovuto mostrare pubblicamente il suo pentimento e il caso è stato archiviato. Ma sono bastate le scuse ufficiali? Probabilmente no. Già ieri, il ministro degli Esteri Franco Frattini, annunciava all’assemblea di Confindustria, la preparazione di un incontro fra Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi. Obiettivo dichiarato è quello di raggiungere un accordo sulla gestione dei flussi migratori tra le due sponde del Mediterraneo, ma potrebbe esserci dell’altro. “E’ essenziale” - ha affermato il portavoce della Farnesina Pasquale Ferrara - “riagganciare un contatto per poter riprendere un percorso che dovrebbe portarci a superare tutte le questioni irrisolte e a rilanciare i rapporti su nuove basi”. Prometteremo ancora l’autostrada? “Non si può assicurare niente a Gheddafi” - ci spiega Leone Massa, presidente di Airil (Associazione Italiana per i Rapporti Italo-Libici) - “Per legge è il Parlamento che deve approvare una spesa del genere e non so se potrà accettarla. Il 2 settembre 2001, l’allora ministro degli Esteri Renato Ruggiero, asserì che il problema dei crediti vantati dalle imprese italiane doveva essere prioritario rispetto a qualsiasi ulteriore accordo tra Italia e Libia. 

Da allora ad oggi non è cambiato nulla: i nostri diritti sono calpestati e lo Stato italiano ha dimostrato di non saper difendere, oltre che gli interessi dei propri cittadini, anche la dignità della nazione. Insomma, anche nell’intervista rilasciata a Il Giornale lo scorso 16 maggio, Frattini si era detto disposto a montare la tenda di Gheddafi per accoglierlo. 20 mila nostri concittadini sono stati espulsi per volontà di Tripoli e le nostre imprese hanno subito espropri. Le aziende italiane che operano in Libia sono discriminate rispetto a quelle di tutti gli altri Paesi e sono vittime dell’arbitrio statale. Negli anni ‘80 ho visto come agiscono i Comitati del Popolo: ti fanno sgombrare il cantiere, sequestrano tutto e ti dicono ‘Paga Badoglio’. E non rivedi più un soldo. Non so proprio se Gheddafi verrà accolto a furor di popolo qui in Italia”.

 

 

 

 

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