Un trattato contestato
di Dimitri BuffaDel 20 gennaio 2009 da L' Opinione
Il Trattato di Amicizia, Parternariato e Cooperazione Italia- Libia, stipulato tra il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e il colonnello Gheddafi, ha iniziato a mostrare le sue crepe, proprio mentre in aula iniziava la discussione sulla sua ratifica ed esecuzione. A gettare un macigno sopraquello che dovrebbe essere un tranquillo iter parlamentare di un atto su cui ufficialmente sono state pronunciate dichiarazioni di voto favorevoli, ci hanno pensato ieri i due deputati del Pd, il radicale Matteo Mecacci e Furio Colombo, che già hanno optato per l’ ostruzionismo parlamentare, il segretario di Nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia, il vicepresidente degli italiani rimpatriati della Libia, Raffaele Antonio Iannotti ed il presidente dell’Associazione italiane per i rapporti italo-libici, Leone Massa. E’ dunque un fatto che, oltre l’irritato disgusto di alcune importanti associazioni a tutela dei diritti degli italiani che hanno vissuto ed investito in Libia e mai risarciti delle perdite economiche subite, le condizioni concordate e siglate dal nostro premier e da Gheddafi, stanno procurando qualche mal di pancia, anche ad un nutrito gruppo di parlamentari che finora hanno messo la sordina alle critiche. Ma che, dopo l’appello lanciato ieri da Mecacci, potrebbero decidere di venire allo scoperto (magari oggi nel sit in davanti a Montecitorio) questo l’augurio dei Trattato-critici, in sede di discussione in Aula. Al momento le ragioni dei contrari sono affidate ai 6000 emendamenti.
Al momento le ragioni dei contrari sono affidate ai 6000 emendamenti presentati da Mecacci di cui soltanto 50 sono stati discussi, e restano sotto la minaccia che, ancora una volta, il premier proceda con un’approvazione lampo. Varie le correlate ragioni che stanno sollevando il controcanto di chi rifiuta un Trattato del cost! o di 200 milioni di euro l’anno per 20 anni. Il contrasto e la violazione dei trattati internazionali e di trattati dell’Onu, ad esempio del Patto Atlantico, nel momento in cui si chiede all’Italia il vincolo a non cedere l’uso delle basi militari per eventuali attacchi contro la Libia. “Un grave errore politico - ha spiegato Mencacci -che muterebbe il quadro internazionale delle alleanza del nostro paese, spostandone il baricentro verso il mondo arabo”. Di pegno pagato alla Lega di Bossi e alla sua volontà di mostrare il pugno duro “contro gli spettri che alimenta ogni giorno, lasciando ai gommoni libici il lavoro sporco di far fuori gli immigrati clandestini in mare aperto” ha parlato Furio Colombo. L’unico dato certo è il pattugliamento da parte delle nostre forze armate e dell’esercito libico ma, sembra, senza alcun monitoraggio internazionale satellitare. Stiamo insomma stipulando un accordo, è la conclusione di Mencacci “con un paese che non ha ratificato la Convenzione Onu per i diritti dei Rifugiati e che non riconosce il diritto d’asilo ai migranti e dove la tortura è diffusissima”. Non solo. D’Elia ha ricordato il carattere repressivo del regime libico, di fronte a cui “questo oneroso patto risarcitorio ha non poche implicazione riguardo ai vincoli internazionali, rischiando di diventare un precedente pericoloso per i paesi ex coloni ed ex colonizzatori”. Oltretutto il testo del trattato prevede l’impegno italiano a non interferire nel sistema politico libico, ossia un regime. Esclusa anche qualsiasi garanzia per gli italiani espulsi dalla Libia “dove -ha concluso Colombo che definisce l’accordo ’militare’- nel ’46 ’47’48 ci sono stati veri progrom contro ebrei ed italiani e che ora vuole farci pagare i danni per i fatti del 1911”. Iannotti ha poi ricordato le stime dei beni sottratti all’Italia ammontavano a 400 mld di lire nel ’70 e l’Italia ha erogato già 300 miliardi di lire. Ora l’ulteriore risarcimento. 200milioni di euro all’! anno per 20 anni, proprio quando la nostra economia ha subito tagli rilevanti, e soprattutto in assenza di impegno a trovare una soluzione per rifondere a tutti i cittadini italiani rimpatriati o che hanno lavorato in territorio libico, i milioni di euro di risarcimento. Di questo non c’è traccia nel trattato. Tanto che di “incongruenza del governo” ha parlato Leone Massa, da sempre impegnato in prima persona per i diritti degli italiani che hanno investito in Libia e di “Trattato di affari tra un’azienda e un altro stato” con riferimento agli interessi dell’l’Eni in Libia. Oltretutto è assente nel documento qualsiasi cenno al sacrosanto obbligo, mai riconosciuto dalla Libia se non in modo generico e senza riferimenti specifici, all’abrogazione delle disposizioni vessatorie che il governo di Gheddafi ha usato nei confronti dei proprietari di aziende italiane. “Centinaia di interpellanze, tre disegni di legge per garantire le imprese creditrici firmati da tutti i gruppi parlamentari in Senato -denuncia Massa - il testo riproposto in questa legislatura in commissione Finanza e Tesoro con l’obiettivo di coprire in sette anni 635 milioni di euro agli italiani, 93 all’anno, senza esito alcuno e poi si cede ad un ricatto che ci costa 200 milioni di euro all’anno per 20 anni?”.