L’Italia non è una colonia di Gheddafi.
Spendiamo miliardi e i clandestini arrivano lo stesso:il patto con la Libia è una presa in giro,va stracciato

di Magdi Allam

Del 3 maggio 20009 da Libero

Cari italiani, vogliamoci del bene e vogliamo del bene al prossimo. Per risolvere alla radice la tragedia di decine di migliaia di disperati che mettono a repentaglio la loro vita per sbarcare in un’Italia percepita come terra di prosperità dove sarebbe lecito tutto e il contrario di tutto, promuoviamo un referendum abrogativo del cosiddetto “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia”, firmato il 30 agosto 2008 da Berlusconi e Gheddafi. Contemporaneamente dobbiamo emendare la nostra strategia di prevenzione introducendo il “reato di emigrazione clandestina” che sanzioni non le vittime della nuova forma di tratta degli esseri umani, ma i cinici burattinai che lucrano sulla loro pelle; così come dobbiamo prevedere l’espulsione immediata di tutti coloro che violano la frontiera nazionale sia che ciò avvenga via terra, via aerea o via mare. Ma soprattutto dobbiamo avere il coraggio di prendere finalmente la storica decisione di affrancarci dalla schiavitù del petrolio e del gas, materie prime di cui siamo carenti, investendo subito nel nucleare pulito e nelle fonti energetiche rinnovabili. Solo così potremo salvaguardare la nostra sovranità e dignità nazionale, senza sottometterci all’arbitrio di un tiranno e trovarci costretti a barattare i valori fondanti della nostra civiltà con il denaro. Al tempo stesso salveremmo la vita di tante persone disperate, attuando cristianamente l’esortazione di Gesù «Ama il prossimo tuo come te stesso». Cinque miliardi buttati Ha perfettamente ragione il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, il cui partito ha votato contro il Trattato con la Libia, nel rilevare che «abbiamo speso cinque miliardi per l'accordo con la Libia e non sono mai arrivati così tanti extracomunitari lungo le nostre coste come quelli degli ultimi due o tre mesi, documentati da tutte le statistiche». Così come ha perfettamente ragione il senatore Giuseppe Lumia, del Pd, quando denuncia il rischio «di assistere passivamente e colpevolmente a un Olocausto» e invoca inflessibilità contro «le organizzazioni criminali che continuano ad arricchirsi sulla pelle dei disperati e facciamoci promotori di una nuova fase di cooperazione».
La questione di fondo concerne la difesa della nostra civiltà, dei valori che ci contraddistinguono come nazione e come umanità. Il problema vero non sono i soldi, dal momento che non andranno a gravare sui contribuenti ma ce li metterà l’Eni, sotto forma di addizionale sull’Ires, accollandosi così i cinque miliardi di dollari promessi alla Libia in venti anni. Mi preoccupa assai che il Segretario generale libico per gli Affari Europei e la Cooperazione, nella recente Conferenza sul razzismo svoltasi a Ginevra, abbia tessuto le lodi del nostro capo di governo rivolgendo un appello alla comunità internazionale: “Fate come gli italiani. Fate come Silvio Berlusconi che ha chiesto scusa alla Libia per il suo passato coloniale e gli strascichi razzisti che ha lasciato. Il coraggio dimostrato dal popolo italiano e dal loro governo rappresentato dal premier Silvio Berlusconi è un esempio da seguire. Facciamo un appello da questa tribuna affinché la dichiarazione finale della Conferenza includa un paragrafo su questo importante riconoscimento di colpa”.
Ebbene, pur essendo stati la più piccola delle potenze coloniali, siamo stati gli unici al mondo ad aver accettato il principio del risarcimento per i danni coloniali. Non solo. La verità è che questo risarcimento l’avevamo già dato al passato regime monarchico libico. Sennonché Gheddafi, che disconosce la legalità internazionale, non ha voluto riconoscere quell’accordo e ha preteso che l’Italia ne sottoscrivesse uno nuovo con il suo regime rivoluzionario. L’Italia si è piegata a questo diktat sempre nel nome della sottomissione alla schiavitù del petrolio e del gas libico. Per decenni Gheddafi ha tergiversato sull’entità e sulla natura del risarcimento coloniale. Ogni volta che sembrava si fosse ad un passo dal concludere l’intesa, trovava il pretesto per tirarsi indietro e rilanciare la posta.
E’ del tutto evidente che Gheddafi non è mai stato veramente interessato né ai soldi dell’Italia, anche perché i soldi non gli sono mai mancati, né a chiudere il contenzioso storico con l’Italia. Ciò che interessa essenzialmente a Gheddafi è strumentalizzare l’Italia come valvola di sfogo delle frustrazioni interne della sua gente, costretta a subire la sua tirannia e incapace di affrancarsi per condividere quella libertà che vedono tramite le televisioni satellitari ed Internet. Ecco perché oggi Gheddafi non opererà mai seriamente per porre fine al traffico dei clandestini a partire dalle coste libiche. Se lo volesse veramente, potrebbe porvi fine nel giro di 24 ore perché chiunque abbia messo piede in Libia sa benissimo che lì non vi è foglia che si muova senza che l’ordini il dittatore.
A Gheddafi piacciamo così. Sottomessi e con la schiena ricurva. Che vergogna quando, all’indomani delle ultime elezioni politiche, la Libia si permise di porre un veto alla candidatura di Calderoli a ministro fintantoché non si fosse scusato pubblicamente per il presunto oltraggio a Maometto, tramite la nota esibizione della maglietta in televisione con una vignetta che ritrae il profeta dell’islam nei panni del terrorista. Purtroppo Calderoli, a dispetto del celodurismo leghista, si piegò a questo ennesimo diktat pur di avere il via libera dei libici, scusandosi con i libici tramite una dichiarazione ufficiale. Eh no! Siamo stati uno stato coloniale da quattro soldi ma non possiamo accettare oggi di trasformarci in una colonia di un tiranno da strapazzo! Affranchiamoci dalla schiavitù del petrolio per salvaguardare la nostra libertà e la nostra civiltà. Faremo del bene a noi regalandoci delle fonti energetiche pulite e rinnovabili, consolidando la nostra indipendenza politica sulla scena internazionale; così come faremo del bene al prossimo ponendo fine alla tragedia dei disperati che si svendono ai nuovi schiavisti, e favorendo un contesto di valori e regole per la diffusione nell’insieme del Mediterraneo di un’autentica democrazia sostanziale.

 

 

 

 

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