“Gheddafi- E rimetti a noi i nostri crediti”

di Stefano Magni

Del 31 agosto 2010 da L' Opinione

Paga Badoglio”. Con questa frase lapidaria e sprezzante le autorità libiche hanno sempre liquidato gli imprenditori italiani,dopo aver sequestrato loro aziende e cantieri, dagli anni ‘70 in avanti. I loro diritti non sono ancora garantiti, nemmeno a due anni di distanza da quel Trattato di Amicizia e Cooperazione di cui si è appena festeggiato, a Roma, il secondo anniversario alla presenza di Muhammar Gheddafi.
La colpa storica del colonialismo nella “quarta sponda” è sempre stata presa a pretesto per impossessarsi delle attività e delle ricchezze di cittadini italiani, anche di coloro che sono nati e cresciuti in Libia.
Non è sempre stato così. Nel regno libico post-coloniale, quando il Paese nordafricano era già indipendente, i rapporti con gli italiani erano regolati da un trattato bilaterale firmato nell’ottobre del 1956. I diritti dei nostri connazionali erano rispettati. Potevano lavorare, mantenere le loro proprietà a Tripoli e Bengasi, investire. Tutto è cambiato con la presa del potere del colonnello Muhammar Gheddafi nel 1969. Gli italiani iniziarono ad essere espulsi, le loro proprietà confiscate, i contratti non rispettati.
Fu addirittura istituzionalizzata una giornata della vendetta contro gli ex coloni: i libici potevano impunemente profanare i cimiteri italiani, spargere le ossa ai cani in segno di massimo disprezzo. Solo con il Trattato di Amicizia e Cooperazione queste manifestazioni di odio sono formalmente cessate. Ma alla prima crisi (con la Svizzera) l’inverno scorso, ai viaggiatori e lavoratori italiani, così come a quelli di tutta l’Unione Europea, è
stato negato il visto di ingresso senza alcun preavviso.
Formalmente si è sempre potuto e si può ancora investire e lavorare in Libia, ma le garanzie latitano.
Leone Massa, 77 anni, è uno degli imprenditori che provarono a fare impresa anche sotto il regime di Gheddafi negli anni ‘70.  Andò bene fino al 1982, poi anche lui fece la stessa fine di tutti gli altri: espulso, azienda sequestrata, crediti mai pagati. Quasi un milione di dollari mai rivisti. La Corte Suprema di Tripoli gli ha riconosciuto 407mila dollari di crediti. Ma anche di quelli: neanche l’ombra. Ad altri investitori connazionali è andata anche peggio, come riferisce Leone Massa. E’ il caso di un imprenditore di Figline Valdarno, arrestato dalle autorità libiche con l’accusa di concussione. 
Liberato dopo tre anni e mezzo di carcere nel regime nordafricano, non si riprese da quell’esperienza e si tolse la vita una volta tornato in Italia. Un altro imprenditore, veneto, subì un anno e mezzo di carcere. E poi Edoardo Seliciato, che lavorava a Tobruk, arrestato con l’accusa di aver attentato alla vita del colonnello Gheddafi. Fu liberato in cambio della scarcerazione di tre libici in Italia . Leone Massa ha fondato e presieduto l’Associazione Italiana per i Rapporti Italo Libici (Airil), per rappresentare gli interessi di questi ed altri imprenditori italiani che mai hanno ottenuto i crediti che spettano loro. L’associazione nacque per volontà delle aziende
creditrici della Libia nell’assemblea del 15 novembre 2000 in Confindustria.
Sono quantificabili in circa 650 milioni di euro i crediti mai pagati anche se riconosciuti dalla stessa Corte Suprema di Tripoli.  A questa somma, già ingente, si potrebbero aggiungere anche i milioni
di crediti non riconosciuti dalla giustizia del regime di Gheddafi,
per non parlare dei danni morali subiti da cittadini espulsi dal Paese in cui vivevano, arrestati, sottoposti a torture psicologiche e fisiche, privati delle loro proprietà
dalla sera alla mattina La Libia aveva preso l’impegno con il Governo italiano di chiudere definitivamente
la situazione entro il 31 marzo del 2003. Ma a più di sette anni di distanza e dopo due anni dalla firma del Trattato di Amicizia e Cooperazione fra Gheddafi e Berlusconi, la questione dei crediti vantati dai cittadini italiani resta ancora priva di una soluzione. Il Trattato di Amicizia e Cooperazione riconosce le colpe storiche coloniali dell’Italia in Libia, fissa in 5 miliardi di dollari (3 miliardi e 200mila euro al cambio attuale) i
risarcimenti all’ex “quarta sponda” per i danni dell’occupazione, ma non prevede la restituzione di 650 milioni di euro a cittadini italiani che ne hanno diritto. Da due anni a questa parte l’Airil ha cambiato strategia. Non chiede più alla Farnesina di ottenere la riscossione dei crediti dalla Libia, bensì risarcimenti dallo Stato italiano. L’associazione di imprenditori cita l’Articolo 35 della nostra Costituzione:
“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il
 lavoro italiano all’estero”.


Nell’incontro tra gli imprenditori e Gheddafi in Confindustria il 12giugno 2009 sarei voluto intervenire quando la Presidente Marcegagliaha invitato i presenti che volessero porre domande al leader libico a favorire al microfono. Me ne sono astenuto perché sapevo che non sarebbe stato gradito dagli organizzatori.Non posso non informare il quotidiano che mi ha sempre ospitato nellemie battaglie in difesa delle imprese creditrici della Libia sul contenutodel mio intervento. Infatti dopo un benvenuto in arabo mi sarei scusato,sempre in arabo, di non conoscere perfettamente la lingua ed avrei pregatol’interprete Signor Shebani di tradurre queste mie parole: “fratello leader, in questi 40 anni hai dimostrato di difendere con ogni mezzo gliinteressi ed i diritti del popolo libico. Poiché un regio decreto del 1919 convertito in legge nel 1924 riconosce ai libici gli stessi diritti dei cittadini italiani, legge mai abrogata, Ti invito a partecipare alle prossime elezioni per la Presidenza della Repubblica Italiana in quanto sono sicuroche difenderesti con altrettanta determinazione i diritti dei cittadini italiani e non temo il conflitto di interessi giusto quanto è scritto da Te nelLibro Verde. Grazie” Sarebbe stata un’occasione per sollecitare indirettamente chi ha la responsabilitànel nostro Paese a fare il proprio dovere verso i propri cittadini.

 

 

 

 

 

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