LEONE MASSA: il gentiluomo che sfidò Gheddafi

di Dimitri Buffa

Del 13 settembre 2011 da L' Opinione

E' morto senza avere avuto giustizia. Né per se stesso né per i circa 104 associati dell’Airil (Associazione Italiana per i rapporti italo-libici), per lo più piccole imprese italiane bidonate dalle contro parti libiche e dal regime precedente, nonché dalla soggezione psicologica ed economica che tutti i governiitaliani hanno avuto nei confronti di Muhammar Gheddafi, dagli anni ’70 a oggi.
Di Leone Massa e della sua vicenda umana ed imprenditoriale mi piace ricordare la frase, vagamente rassegnata, con cui di solito apriva tutte le chiacchierate su Libia e dintorni: “il guaio è che in Italia la politica estera la decide l’Eni”. E quella era stata in fondo anche la chiave per spiegare il perché di tante promesse governative non mantenute per queste imprese consorziatesi nell’Airil.
Un organismo da lui presieduto, con il solo scopo di farsi ridare indietro i soldi per contratti o appalti mai onorati dalle contro parti libiche. In certi casi si trattava di crediti riconosciuti con sentenze di tribunali della Jamahyrya che davano persino loro ragione. Un danno quantificato intorno al miliardo di euro.
Mai messo sul tavolo nelle trattative con Gheddafi sulle riparazioni dei danni di guerra del colonialismo italiano. Le responsabilità governative italiane dagli anni ’70 in poi sono evidenti: dopo la cacciata di italiani ed ebrei da parte di Gheddafi in seguito al golpe del 1969, alcune imprese furono convinte, anzi attirate, anzi irretite, dai governi della prima e poi della seconda repubblica a ricominciare a fare affari in Libia.
Tanto garantirà la Sace, veniva detto a questi piccoli e medi imprenditori. Invece la Sace alla fine non garantì nulla perché appunto tutte le risorse erano immobilizzate per i contratti Eni. E sebbene negli anni ’80 l’Italia abbia fatto quel tutto quel debito pubblico, garantito all’epoca solo dalla politica, solo per mantenere le clientele elettorali di tutto l’arco costituzionale, non si è trovato un ministro che un bel giorno prendesse in mano la situazione e disponesse che una voce delle tante manovre “tassa e spendi” all’italiana fosse dedicata al risarcimento di questi industriali.
Molti dei quali ebbero vicende umane e lavorative veramente tragiche: abbandonati a sé stessi, chi finì in fallimento, chi si separò dalla famiglia, chi tentò il suicidio e chi si suicidò per davvero. Una storia molto italiana. Tutta questa gente aveva avuto per quasi undici anni una sola speranza nelle forti spalle di una sola persona, dalla corporatura molto robusta: Leone Massa.
Oggi che non c’è più neanche lui, difficile pensare che ne sarà dei crediti ormai inesigibili delle aziende consorziate nell’Airil. Sperare nel nuovo regime libico sembra una barzelletta di cattivo gusto. Sperare in questo o in altri governi addirittura fantascienza.
Ma qui mi piace usare le parole di Leone Massa per commentare come la Farnesina nel 2000, governo di Giuliano Amato, li aiutò a coordinarsi all’epoca dell’inizio della sua presidenza: “nel 2000 quando riuscii, grazie all’allora presidente di confindustria, Antonio D’Amato ed il comune amico Gaetano Cola, presidente della camera di commercio di Napoli, ad invitare le aziende creditrici della Libia ad una riunione presso Confindustria il numero salì ad oltre 100.
In tale occasione le aziende mi elessero presidente di un comitato per avere rapporti con le istituzioni italiane e libiche al fine di ottenere il pagamento dei crediti. Per l’espletamento del mio mandato chiesi al MAE gli indirizzi di ciascuna azienda creditrice, in elenco presso di loro, i relativi importi del credito ed i numeri di telefono per contattarle.
Mi fu rifiutato per ragioni di privacy!!!!". Il problema di Massa, forse, era l’orgoglio. Gheddafi negli ultimi 30 anni era stato il padrone economico di mezza Italia, dalla Fiat, alla Juventus..., e questo fino al momento della sua caduta. Non era solo un problema di Eni, di mani baciate da Berlusconi o di ore di anti camera nel deserto davanti a una tenda nella notte come capitò sia a Prodi sia a D’Alema.
No, a Gheddafi nel 1980 vennero perdonate le stragi come Ustica e Bologna, dove sicuramente c’era lo zampino dei servizi libici. Gheddafi era aiutato dal Sismi, testimonianza dell’ex colonnello Demetrio Cogliando alla Commissione stragi (ancora secretata), a scovare e uccidere gli oppositori in Italia.
Il Sismi li scovava e poi faceva avere foto e indirizzo ai killer libici che agivano protetti dalle nostre autorità e dalle forze dell’ordine qui in territorio italiano. Sempre nei primi anni ’80. Era pensabile che qualcuno potesse muovere un dito per le aziende bidonate dell’Airil? Qualcuno, nel governo, a Leone Massa gli suggeriva “in camera caritatis” di andare anche lui a baciare la mano, che non poteva all’epoca essere tagliata (famoso proverbio dei tuareg, ndr), del beduino pazzo del deserto.
Insomma a pietire i propri diritti. Questo lui non volle mai farlo né peraltro mai glielo chiesero i suoi associati. E per questo due sere fa a 80 neppure compiuti, Leone Massa se ne è andato, senza soddisfazione morale e materiale ma solo con la propria dignità. E oggi noi piangiamo questo nostro grande e indimenticabile amico.

Nomen omen, il destino nel nome. Leone Massa ha impersonificato perfettamente e totalmente l'antica massima latina. E' stato un Leone di nome e di fatto. Fiero, tenace, combattivo, leale. Ed anche regale, con il suo portamento da grande gentiluomo napoletano. Un Leone pugnace, combattivo, irriducibile.
Come dimostra la lunghissima ed estenuante battaglia che ha condotto per far riconoscere dai governi libico ed italiano i sacrosanti diritti delle aziende del nostro paese moperanti in Libia brutalmente e criminalmente cancellati dal Colonnello Gheddafi. Ma anche un Leone umano, gioviale, capace di ispirare simpatia e rispetto in chiunque.
Anche in quegli esponenti e rappresentanti del governo libico del Rais a cui non aveva mai smesso di contestare il mancato riconoscimento dei diritti delle aziende italiane. Un Leone, infine, che suscitava amicizia ed affetto. Quell'amicizia e quell'affetto che io, la mia famiglia e l'intera redazione de “L'Opinione” abbiamo sempre nutrito nei suoi confronti e conserveremo nel futuro.
Perchè quando si tratterà di portare ad esempio un modello di uomo ed italiano vero ai figli ed ai redattori più giovani non potremo che citare il nome di Leone Massa

ARTURO DIACONALE

 

 

 

 

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